L'estate è il più
crudele dei sogni, un girasole bello per quanto è giallo che nasce
per morire. L'estate è, come adesso, un suono di campana nel
meriggio bagnato e un cane ulula a tempo, scioglie il lamento antico,
scende giù per la schiena, canta con la tua voce e ti contagia già.
E' la ferita al piede che non guarisce mai, messaggi che ricevo e
restano fra noi. E' la solita storia, una storia di viali, di
occasioni mai avute, di abbandoni assolati, di vecchiaie anzitempo
nelle sere rinchiuse, un'abat-jour, la radio, delle voci che vanno in
scie di gioventù e sai che non sei tu. E' il pullman che va via,
l'alba radiosa e vuota, il treno che ti sfiora, la pioggia senza età.
Quanti vorrei trovarne, pretesti per scaldarti, per il tuo spasmo
quieto, per un'altra bugia, forse le ho consumate, ci siamo detti
tutto, stalattiti ci restano di silenzio pesante. Perdonami se non so
essere altro che una mancanza, solito appuntamento di parole pensate,
non ho saputo stare nel vortice dei giorni, raggiungerti il dolore
che volevi portarmi. Hanno inventato trappole per sentirci più
folli, per urlare più invano la nostra solitudine; adesso siamo
nudi, che urliamo inermi al mondo, siamo le nostre foto che chiedono
speranza, camposanti viventi di disperate genti e non so ribellarmi,
stanarti dove stai.
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