Chissà
se quanti mi hanno scritto, mi hanno detto "Mancini è uno di
noi", Mancini l'omicida del nigeriano Emmanuel a Fermo che
difendeva la moglie dall'offesa razzista, "scimmia di merda",
chissa se le hanno lette le 13 pagine dell'ordinanza con cui il gip
Caporale ha tenuto dentro il giustiziere. C'è da rabbrividire.
"Esagerato" mi hanno detto incontrandomi, "una
disgrazia può sempre capitare", ma il gip Caporale non parla di
disgrazie, scrive di un individuo incapace di controllarsi, del tutto
impermeabile alle regole umane e giuridiche, uno che, se lasciato
libero, ci riprova subito perché non conosce altro modo di stare al
mondo. Uno che odia i diversi, odia le razze, odia chi gli attraversa
la strada ed è troppo pericoloso per il consorzio umano. Valutazione
allarmante che però non tocca i suoi amici, quelli che mi dicevano
"Io lo conosco" e lo dicevano con un tono insopportabile,
il tono della solidarietà cialtrona, non dicevano è mio amico,
dicevano "io lo conosco" ma voleva dire la stessa cosa, io
lo riconosco come contiguo, alla lontana se vuoi, ma più vicino lui
che il morto ammazzato. Non ho trovato una sola voce che mi abbia
detto: che atrocità, povero Emmanuel. "Esagerato" mi
ripetevano tutti ma il gip esclude la legittima difesa con una
ricostruzione chiara: Mancini che in compagnia di un amico apostrofa
pesantemente la coppia di nigeriani, i quali reagiscono in modo
scomposto, lui raccoglie un segnale e lo tira verso l'aggressore, lei
lo scalcia con le scarpette da ballerina e poi se ne vanno, ma
l'altro gli corre dietro, raggiunge Emmanuel, lo annienta con un
pugno micidiale e poi gli balla sopra il ballo dell'orango, si vanta,
"l'ho centrato bene, l'ho proprio sdraiato". E quello stava
morendo. Anche questo lo trovate divertente, come la storia delle
noccioline tirate ai negri? Fermo non ha una classe intellettuale,
non una sola voce capace di promuovere un esame di coscienza comune,
una messa in discussione collettiva; gli resta qualche nostalgico
incatenato alle memorie pontificie, qualche arredo di piazza che di
tanto in tanto brinda alla memoria di Mario Moretti, capo brigatista
che ha dato lustro alla città, e rasoterra il prato basso,
bassissimo delle scamorze messe dai politicanti locali a scrivere
tutti i santi giorni che questa è la città più bella del mondo.
Nessuno è in grado di chiedere, di chiedersi quanti gradi di
contiguità ci stanno tra chi agisce, chi scrive, chi legge. Ma
appunto la cittadinanza non è meglio, l'unica cosa che li ha
sdegnati è stata la calata dei politici, "che esagerazione, che
sciacallaggio". Quando però c'era da mendicare la provincia
inutile i politici andavano bene tutti, anche i più insignificanti o
repellenti erano accolti con riverenze servili. Non ci ha fatto gran
figura nemmeno il cronismo locale, diciamola come va detta, schierato
su posizioni neanche faziose, proprio assolutorie, pronto a
confondere, a mestare. Chissà se quanti mi hanno guardato di
straforo o mi hanno girato la faccia in questi giorni le hanno lette
le valutazioni del gip Caporale che parla di un individuo incapace di
valutare appieno la gravità del delitto commesso, uno dall'istinto
predatorio. Si poteva capire anche prima dell'udienza, quando a uno
così viene messa in bocca l'improbabile distinzione tra
responsabilità morale e giuridica vuol dire in due parole che
riconosce quello che ha fatto, nel senso che lo rivendica, ma non ci
vede niente di strano, non lo considera un delitto. Ma la fermanità
può far delirare e uno così è definito vittima, martire, capro
espiatorio non si è capito di che cosa, posto che qui sono tutti di
nobilissimo animo nella città più nobile e ospitale sul pianeta.
Più
ne incontri e più li senti armonici come il coro dell'opera: che
esagerazioni, che strumentalizzazioni, è lui la vera vittima, al
limite sono vittime entrambi. Un ultrà con tre daspo e una sfilza di
precedenti lunga così per lesioni gravi, risse, perfino aggressioni
negli spogliatoi ai giocatori della Fermana calcio, i quali
abbozzavano. Ma stiano là i camerati che si nascondono dietro una
italianità pelosa, che fa acqua da tutte le parti pur di camuffare
un sentimento comune, di astio, di insofferenza verso il foresto
degno della punizione di esistere, di essere sopravvissuto fin qui
alle pulizie etniche in Nigeria. Stiano là i compagni dei centri
sociali che se la cavano con le fiaccolate, con le solfe lunari
dell'antifascismo pur di non parlare di quello che succede nel
focolaio del tifo locale, la ramificazione perversa di connivenze e
solidarietà trasversali che innerva il villaggio. Stiano là i
bigotti che belano, "preghiamo per quanto è successo", e
che cazzo ti vuoi pregare ormai, ma si indignano se un commentatore
racconta un decimo, un centesimo delle nefandezze locali e può farlo
perché le conoscono tutti benissimo, a forza di ripeterle nei
vicoletti, nei caffè sono diventate leggende paesane. Però a
trovarsele scritte perdono la testa, riescono a negare oltre la
decenza, a trovare pace e concordia perfino nelle polveriere dove ci
si scanna, come se non li vedessero i bollettini di guerra di
carabinieri e polizia, come se la cronaca non fosse anche il loro
mestiere. "Non meritiamo questo trattamento" strillano, ma
non hanno saputo dire una parola per una tragedia insensata, va già
bene quando non insinuano di trame losche, perfino erotiche tra la
arrampicatrice africana e il prete che la userebbe per farci soldi.
Ma io lo conosco da ventisei anni don Vinicio, è più bravo lui a
moltiplicare denari che Gesù Cristo coi pani e i pesci e non gli
serve una vedova in più, anzi in questo caso si è messo tutti
contro dicendo le parole che nessuno voleva sentire, che lo hanno
trasformato da santo in santone. Vogliono dargli la infermità
mentale a Mancini, vogliono mandarlo in manicomio e anche questo è
un bel modo per eludere i conti di una città con se stessa: quanti
sono quelli come lui da fermare a Fermo, quanti quelli della
solidarietà nel peggio, gli apologeti della santa "gnoranza"
che spacca le ossa e si fa rispettare, la gnoranza da trasformare in
leggenda paesana con fremiti di ammirazione?
Non è
una buona terapia la fermanità, il folklore vittimista, non serve a
niente consolarsi con le violenze nelle metropoli americane da
milioni di abitanti, non giova la comprensione ipocrita che copre i
soprusi sui deboli e gli ultimi. Ad ammazzare un sopravvissuto è
stato un reo confesso, ma a chiudergli la bara sono stati tutti
quelli che in questi giorni mi hanno detto "io lo conosco",
e giù col tango dei distinguo.
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