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L'UNICA ESTATE ADULTA


Quando finiva la scuola io mi sentivo intorpidito come un pugile alla fine di un incontro. Mi ci voleva qualche giorno per riprendermi, non mi pareva vera tutta quella libertà, tutta insieme, improbabile come quando arriva una cosa troppo sognata. Quei primi giorni che mi separavano dal mare li bruciavo in casa, in convalescenza, uscivo il minimo. Recuperavo forze, volevo stordirmi in ogni minuto passato a ciondolare tra una radio e una merenda, sentivo di meritarmi quei trastulli e mi bastava affacciarmi in finestra per dominare il tempo. Era la sera, a chiamare. Passata la cena, i citofoni impazzivano e noi ci si trovava giù in strada a raccontarci il nulla spedendo un tramonto lunghissimo, indolente. Non ricordo d'essermi mai allontanato dal mio quartiere, ma era lì che tutti dovevamo stare, era quella la nostra aria. A ripensarci, vedo un branco di sfigati sui motorini, ma allora ogni istante di noia era benedetto e noi eravamo gatti che trovavamo eccitante ogni rumore. Fino all'imbrunire e ancora oltre, sotto il mio balcone o quello di qualcun altro, la confortevole sensazione di essere al tuo posto, nella giusta cornice, di appartenere a uno sfondo che ti apparteneva. Quel limbo, volevo non finisse mai. E' storia di pochi anni, tre o quattro vigilie d'estate, ma impresse a fuoco in me. Solo l'ultima, della maturità, fu per forza diversa, quell'ultimo incontro mi massacrò e un'ora dopo era già ora di partire. Ma prima, io trascorsi coi miei compagni l'unica età adulta della mia vita. Quasi tutti patentati, chi sulla macchina di famiglia, chi con un catorcio personale appena regalato potevamo spostarci per la città, macinare stupidamente chilometri per un frullato, tornare tardi sprezzando le mattine da dedicare alla preparazione degli esami. Così, mi dividevo tra gli amici del quartiere e quelli della scuola e la mia nuova casa, una magione che evaporò poco dopo quel luglio del 1983, era diventata un quartier generale: mio fratello ed io stavamo al piano rialzato, tutto per noi, e ogni tanto mi ritrovavo senza preavviso qualcuno, passato dalla finestra aperta. Non mi stupivo, non mi incazzavo, era un periodo in cui tutto sembrava possibile e tutto rendevamo possibile. Anche quelle sere sopravvivono in me, custodite negli scaffali della mente, ma più profonde sono quelle sui motorini spenti, a sospirare ragazzine distratte, a ipotizzare prossimi scudetti. A crescere, perché si cresce d'estate. Adesso non ho più serate, non so a chi affidarle. Vorrei raccontare tutto ai miei gatti ma a loro non interessa, loro vivono nel presente, non si curano della mia nostalgia da balcone, mi saltano sopra, le ombre delle tenebre risvegliano giocosi istinti predatori.

Commenti

  1. E'incredibile pensare come quelle estati, magari passate anche in larga parte in solitudine, sembrino ora così ricche. Di un fumetto, un cartone animato, un videogioco, che accendevano la fantasia e non stancavano mai. E come quelle di adesso sono nulla, un atroce prolungamento dell'inverno, davanti le stesse facce insopportabili e lugubri di ogni giorno di ufficio. Per fortuna la lettura riesce sempre a trasportarti altrove, anche se per poco.
    vit

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