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UN PAESE DI MANIACI



Non trova spazio nel variopinto mondo dell'antimafia la prescrizione marxista secondo cui la storia si ripete passando da tragedia in farsa; lì al massimo la farsa scade in farsa più grottesca e poi nel trash puro, senza pretesa di credibilità. Ma vi pare possibile che uno in Sicilia possa venire minacciato a vita senza che gli succeda mai niente? Però non ditelo, non dubitate, non fate funzionare il sospetto della ragione e la ragione del sospetto, verrete azzannati dai farisei in carriera come il giudice antimafia fallito Ingroia, passato a difendere mafiosi e mitomani come Pino Maniaci, che infatti adesso si affanna a spiegare che è tutto un equivoco se non un attacco mafioso al suo assistito. La macchina del fango! C'è qualcuno, a proposito, in grado di recuperare gli articoli lirici, melodrammatici di Travaglio, del Fatto Quotidiano su questo baffuto eroe dei nostri giorni? Strano, gli amici degli amici dei giudici, quelli che sanno sempre tutto, quelli con la spocchia dei superintrodotti hanno toppato e gli sfuggiva completamente il senso di una farsa tragica. Nell'ebook Fottuto racconto splendori, latitanti, e miserie, tantissime, di un giornalismo che esaltava uno come Maniaci a partire dal presidente dell'Ordine Iacopino, uno che si perde in polemiche con Barbara d'Urso e Mara Venier ma, da giornalista, vigliacco se si fa mai una domanda. Siccome informazione e antimafia sono intrecciate, nel libro mi diverto a tratteggiarla, la cosca antimafiosa che adesso si contorce per il “tradimento” del Maniaci, per come la ho bazzicata prima di uscirmene schifato. Libro che è stato letto, maledetto, mai smentito. Per la semplice ragione che non si poteva smentire una virgola, non riporto, rivivo e tutto sommato ci vado anche leggero, al fondo dello squallore la realtà è molto più torbida, ma come rischiare senza spalle coperte? Però una cosa si può dire, che nel variopinto mondo dell'antimafia tutti sono scomodi, tutti sono vittime della macchina del fango e contemporaneamente, chissà come, campano sereni fra una mitomania e l'altra. Anche da queste parti c'è un prete sociale, meglio detto di frontiera, concorrente di don Ciotti, uno in odore di santità che alla prima occasione utile, l'esplosione di tre petardi contro altrettante canoniche, non si è lasciato sfuggire l'occasione di tirarsela da martire, “Ma noi non ci faremo intimidire”. Don Albanesi non precisa in base a quali riscontri arriva a porsi come bersaglio di inesistenti attentatori, a lui bastano le frasi a effetto, volatili come fumetti, la chiesa che “esce dalla canonica e dà fastidio”, e tutti le prendono come il Verbo, prima del quale era il caos. Ma di indizi non ne escono, nessuno pensa di scortarlo per la sua misteriosa attività contro cosche che qui tutti lui compreso dicono non esserci e le bombette, verosimilmente opera di ragazzotti annoiati, cessano d'incanto.

Ecco, l'antimafia dei finanziamenti, delle confische, dei vittimismi mediatici e delle formule ginniche, “tenere alta la guardia”, “non abbassare la testa”, è una faccenda così; non c'è altro, se non la feroce bagarre per la fetta più alta di torta, per le risorse che poi vengono impiegate per l'autosostentamento di enti informali che non ne hanno mai abbastanza, più o meno come la magistratura che si strappa le toghe per la carenza di risorse e poi si scopre che il 99% di quelle che riceve vanno per lo stipendio dei magistrati, nello sconcerto di un ex giudice come Piero Tony che adesso dice: non è un problema di emolumenti ma di interessi particolari, di infiltrazioni politiche e perfino malavitose in una istituzione ridotta a corporazione. Renzi, che non essendo stupido ha capito l'antifona di Davigo, constata la falcidie di amministratori periferici e dice, in modo un po' alcoolico: benissimo!, noi siamo contenti, noi diamo una mano ai giudici. Il premier ha il didietro stretto come quello di un gattino ma non gli servirà la captatio benevolentiae, la sua fine è segnata,  don Piercamillo Savonarola l'ha detto forte e chiaro e subito hanno preso nota gli sgherri del Fatto, questo giornaletto mitomane e gossipparo che non vende ventimila copie ma l'interesse, il senso stesso del quale, si direbbe, sta da tutt'altre parti che in edicola. Intanto l'uomo comune, detto cittadino o anche popolo quando c'è da stordirlo a botte di referendum, osserva e, un po' qualunquisticamente, non capisce perché in galera non debbono starci gli orchi e debba finirci un sindaco di provincia per i lavori di una piscina comunale.

Commenti

  1. come per il sindaco di brescello(re) che ha dovuto dimettersi per aver detto a 4 fighetti universitari(con rispetto per altri universitari)che tale Francesco Grande Aracri ,all'epoca non ancora condannato per mafia, era persona cordiale e non dava fastidio a nessuno

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