Perché ho bisogno di
uscire fuori nella vita. Anche se non ho niente, anche se fa schifo e
sembra finta. Finita. Anche se non è vita questa vita che mi
lambisce, lascia bruciature di medusa. Ho bisogno di spiare nelle
finestre immaginando vite sconosciute, di guardare negli occhi il
cane sul balcone e ricostruire vite di passaggio da una scarpa, un
colore, un monile. Di sorvegliare foglie finalmente radiose, perdermi
nel loro labirinto d'ombre, ritrovare appuntamento con la noia nei
viali consumati e percepire il momento quando il giorno si rompe, è
quasi sera, non ancora sera, ma qualcosa è cambiato. Allora mi
verranno addosso tutti i miei amici, le nostre corse felici di
puledri impazziti verso il tempo perso, la nostra illusione tremante
d'esser grandi. Ho bisogno del sole che spiove sulle facciate dei
palazzi e fantasticare di fumetti, di supereroi e pomeriggi a sognare
invano. E di domeniche di mare, terribili domeniche salate di
solitudine, e di campagne amare, mai capite, troppo distanti da me. E
poi, chissà perché, chissà come, fantasmi di mercati del sabato e
piazze di pioggia e sere di maggio all'aeroporto e la città
minacciosa quando improvviso cala un sipario di silenzio, poi sale la
notte, s'agitano canzoni, inquietudini, lampeggiare di code d'aerei
sopra torri arcane che vibrano di vetro. Ho bisogno di danzare
disperato e tetro su questo straccio di vita, sui misteri da niente,
sulle sue condanne, i suoi giochi d'acqua, le sconfitte e le rese. Di
scandire il traffico seduto sul balcone mio e ritrovare altro
traffico, sentirmi nell'aria mentre va giù il sole e disegna altri
tramonti, altri tepori. Ho bisogno di sentirmi vecchio e bambino,
irrimediabilmente uomo in questo avanzo di vita, che passa come una
moto, sparisce tra le piante, non la vedo già più.
Commenti
Posta un commento