Quelli che dicono di non
avere paura sono imbecilli oppure mentono. Quelli che dicono che non
bisogna avere paura sono esaltati e mentono a loro stessi. La paura
ce l'abbiamo e dobbiamo averla, non solo per le mostruosità
quotidiane ma anzitutto perché l'Europa non sembra avere alcuna
forza per contrastarle. Tra rassegnazione e “umana pietà” per
gli stragisti da quelli come Vauro, i massacri di ogni nostra libertà
sono conclamati e forse irreversibili. “Non bisogna avere paura”,
ma poi le città teatro degli eccidi si riducono a deserti urbani,
neanche più quelli dei girotondi canzonettari. Non bisogna avere
paura, ma monta il sospetto, fatto di paura, per la botteguccia araba
o il vicino di casa barbuto, paure anche irrazionali ma come fai a
non provarle? C'è chi si ostina a sfidarla, la paura, e gira come
una trottola e se intervistato all'aeroporto fa la faccia tronfia, ma
dire “tanto se deve succedere succede” non è una risposta alla
paura ma al fatalismo. E i nostri paesi, e l'Unione che dovrebbe
unirli, non sono in grado di organizzare altra strategia che la
resistenza passiva. Si è avuta conferma che i terroristi vanno e
vengono per le nostre città, che si infiltrano tra i migranti, che
le polizie preferiscono non sapere anche perché indotte dalla
politica a lasciar perdere, come ha confessato uno dei servizi belgi,
riportato dal quotidiano il Foglio. Pressioni nel segno
dell'opportunismo e del politicamente corretto, che aumentano la
propensione al dilettantismo e all'avventurismo delle forze
dell'ordine, che non si parlano tra loro, che individuano uno
stragista in un free lance ma poi ci ripensano, che permettono a
balordi e rapinatori di strada di radicalizzarsi contro l'Occidente
che li tutela. Paura dobbiamo averne perché il nostro lessico
elementare non trova più nemmeno le parole per fronteggiare
l'emergenza e preferisce rimuoverla, negarla. Non è lecito parlare,
scrivere di guerre di religione, non è lecito neppure pronunciare la
parola guerra perché a chi non ha risposte la faccenda non piace.
Meglio la strategia del gioco, del sogno, in Europa è tutto un inno
al gioco, per dire cose irrilevanti, ludiche nel segno del vizio
molliccio, da basso impero. Ci si occupa e preoccupa del gender,
anche nei bambini di due anni ed è tutto un disegnare coi gessetti,
un cantare canzonette immaginifiche, un guardare cartoni animati, un
atteggiarsi a portata di videofonino, la fede non come conforto ma
come soluzione magica, “se ci crediamo forte forte il mondo può
cambiare”. Già, ma per quegli altri non cambia. Il papa Francesco
esagera in banalità alla Catalano, il filosofo di Renzo Arbore, dice
che la colpa della guerra sta nella guerra, nelle armi ma non sa
spiegare come in un parco giochi i talebani sterminano decine di
bambini che considerano “crociati” e se ne vantano pure. La
religione non c'entra, si ripete, ma il giorno dopo la strage di
Lahore sui piccoli cristiani la gente è scesa in strada a reclamare
la condanna capitale per una cristiana considerata blasfema. Guai ad
osservare che la guerra c'è sempre stata e che l'uomo è crudele e
fanatico e per questo va sorvegliato, meglio il gioco, il sesso come
distrazione, l'immancabile “cultura” come panacea, ma una cultura
fumettistica, infantile, le pornostar come nuove coscienze, il gossip
laido, le cose irrilevanti nelle quali siamo maestri, perfino a colpi
di referendum su situazioni inconsistenti come abrogare quello che
non è lecito o non esiste. Il gioco, il sogno, il bambino al posto
della realtà degli adulti. La farsa invece di una razionale presa
d'atto dei problemi e dei pericoli. Se scrivi che hai paura sei un
malato di mente, se ti appassioni ad uno che vende il culo per
duecentomila euro sei sano, sei a posto. Mi ha scritto uno su
Facebook: io Cruciani lo considero un cabarettista e quindi mi
diverto a sentirlo, perché farsi il sangue cattivo?”.
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