Nella primavera che
non c'è io cammino un passo avanti all'altro e guardo in alto, alle
piante che sono ancora tutte nude, alle loro braccia ossute che
graffiano il cielo, poi scendo tra gli sguardi della gente ancora
prigioniera dell'inverno, gente che non mi appartiene ma dai dolori
grondanti, che non s'accorge di me, dei miei occhi furtivi. E
cammino, un passo dietro l'altro, sulla ghiaia, sulla rena, sull'erba
inzuppata di freddo, sulla strada che cerca la mia ombra e non la
trova e la rimpiange, passo davanti ai manifesti degli assenti che
osservano chi li osserva, davanti a case dove non entrerò, a
botteghe dove sono stato, a spiragli dove sono morto e poi sono
fuggito, dove raccolsi la gattina che morì lo stesso, dove sentii
una campana suonare per me. Passo dopo passo smarrisco quel respiro
di primavera attesa, immaginata, amata. Si fa quasi scuro, si
accendono le luci, un cane abbaia alla sera e quel cane sono io, che
non so dove andare, disperato più di un cane. Corre un treno che
scompiglia i miei silenzi, se li porta via coi loro urli di carta che
sbattono contro il tramonto, m'accorgo che il cielo indugia in questa
primavera che non c'è seppure è arrivata. Il mio corpo non ha mai
avuto più freddo di così e non ho più voglia di chiedere perché,
tra poco la notte accenderà fantasmi che non sai, rimpianti che non
sai e non posso permettermi il lusso di un racconto, nessuna
confessione ti potrò affidare, i miei abissi sono troppo vuoti,
troppo profondi e vuoti, è un'ordalia la notte, ogni notte e non c'è
annuncio d'uccello che mi dia speranza quando un sole che non vedo
sorge, getta il suo canto remoto sul mondo che mi perde, sulla
primavera che non c'è.
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