Il cosiddetto provocatore
Cruciani aggredito da un gruppo di animalisti: sono quasi tentato,
per la prima ed unica volta in vita mia, di schierarmi in favore di
una setta. Perché è vero che le sette sono intolleranti per
definizione, che tagliano la complessità del reale con l'accetta, ma
qui c'è qualcosa di peggio che stuzzicarli, qui c'è
l'autopromozione sulla pelle di chiunque, animali vivi, carcasse,
fanatici, tutto fa brodo per promuovere il mediocre spettacolo di sé.
Quali provocazioni? Una provocazione deve servire a qualcosa, a fare
riflettere, affittare il culo per duecentomila euro o portare una
pecora in trasmissione per annunciarne il macello sono solo trovate
da guitto, da sfigato che ha fatto Bingo con la volgarità da casino
(senza accento). Ormai devi provocare per fare riflettere, cioè per
essere qualcuno: e allora, via con lo show delle fotografie ai malati
terminali per vendere magliettine, dei manichini impiccati ai
giardini pubblici (che suscitano la disperazione di chi ha avuto un
figlio suicida allo stesso modo), con i selfie al guinzaglio di una
parigrado. Queste sarebbero provocazioni, questo sarebbe giornalismo
di opinione? La setta animalista si comporta da setta, ma il Cruciani
sono mesi che la esaspera, che la cerca, ed è sceso a riceverli
brandendo un salame, dopodiché ha avvertito il mondo
dell'aggressione subita. Se qualcuno gliel'avesse strappato di mano e
picchiato in testa, come in un film di Piedone lo sbirro o don
Camillo, il presunto provocatore avrebbe scoperto che l'ironia a
volte fa male, ma male sul serio.
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