Ho visto uccidere e
morire, ho visto corpi segati e teste dimenticate, la pazzia e
l'agonia, lo squallore e l'abiezione. Ho visto la fine di ogni cosa e
il princìpio della fine, l'inaridirsi del tempo, il morire della
fede. So l'odore del pericolo, che resta sulla pelle. So quello di rimorso, che si tatua nell'anima. Conosco le lacrime di vetro e quelle di carta, i vicoli infami,
le spiagge deserte, ricordo l'abbandono nella solitudine, l'attesa
dell'attesa, la disperazione della speranza, la rassegnazione che
chiamano pace. E la violenza, e la mancanza, e l'assenza perfino di
sé. Non posso più sbagliarmi sulla crudeltà umana, non proverò a convincerti se non ci sei passato. Tutto questo ho avuto intorno, tutto ha inzuppato i miei
giorni, lo custodisco in me, si spegnerà
con me. Ho raccontato e fa ancora più male. Eppure non so liberarmi ancora del vizio di cercare la prima
fogliolina della primavera, eppure spio i rami e mi sento rivivere
contando le gemme. Patetico illuso pronto a un altro inganno, non
potrà un'ombra verde lavare i tuoi occhi di tutta la polvere del
dolore. Non so se sono stato più forte o più debole della vita, so
però che di questa malattia non potrò guarire.
malattia che lenisce
RispondiEliminaDott. Del Papa, è tanto tempo che la seguo. Non ho mai commentato, sicuramente per pigrizia e poca familiarità con il mezzo. In realtà, stavolta, non ho molto da commentare, ma la stima, piano piano sostituitasi alla diffidenza iniziale, stavolta non ce la fa.. Deborda ! E quindi gliela devo manifestare! Meno male che ci sono quelli come Lei!
RispondiElimina