Quante cose
ti dico, quante ti nascondo. Queste molte di più. Ma come posso
svelarti le mie morti, le presenze che mai raggiungerò, gli abbracci
negati dalla vita? Come posso parlarti dei rimpianti, viaggi senza
partenza e senza gioia, come ti racconto di un addio temuto, che
non potrò sentire?
Tu mi dici:
“Non arrenderti”. Io custodisco assenze. Nel mio debole scrigno
c'è la tua speranza violentata, fatta di sconfitte, sere che
diventano confessioni. Come potrò ammettere che mi sei
dentro ormai, che non mi lasci stare e non so difendermi? Che non ho saputo
fare di più? Perché non basta esserci, non basta...
Io ascolto
il dolore che si adagia con un canto di allodola, constato
l'inutilità di ogni momento. E mi sento più inutile, più solo:
tutto sanguina allora nel mio tempo. Sotto il mio mantello nascondo
la tua storia, la fretta di un interrogatorio cui hai ceduto
volentieri: ti ho stanato, assumendo i tuoi dubbi e adesso sono
gravido di te, della tua morte. Se solo quel mantello furibondo
volasse, testimoniando di me ciò che non dico.
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