Mi lascia perplesso il tour della salma
di padre Pio, organizzato da questo papa che pare tanto candido nel
disprezzare il soldo, ma non al punto da non accorgersi che il denaro
fa comodo. Mi lascia perplesso quella danza macabra in corteo, trovo
lugubre questo impasto di miscredenza magica, confesso mi indispone
quella devozione popolare che è superstizione, che è gravida di
frasi fatte, di misticismi atteggiati, che non va dal frate se non ha
qualcosa da chiedergli, da morto come da vivo. Eppure non posso
disprezzarla, quella devozione, perché anche io sono passato dalla
disperazione più profonda e a san Giovanni Rotondo ci andai, a
chiedere non so cosa, a sperare non so cosa, a provare non so cosa ma
ci andai. Adesso la mia prospettiva è diversa e non ho più la
sensibilità per cogliere certe suggestioni, e non ho più un santuario dove fuggire quando mi sento sprofondare, però di una cosa sono
contento: del momento di gloria toccato anche a san Leopoldo, questo
santo insospettabile, schiacciato dall'ombra prepotente del collega
di Pietralcina: tutti per Pio, l'altro è un comprimario, un Carneade
della fede, anche il nome è improbabile: ma scopriamo che fu un
missionario generoso, un uomo buono, un religioso umile e
compassionevole: assolveva tutti, e fu la sua mitezza, si dice, a
guadagnargli la sanità. San Leopoldo, santo sconosciuto, mi fa
tenerezza a vederlo raccogliere quel misticismo di sponda, in quel
brillare di riflesso accanto al frate di cui si sa o si crede di
sapere tutto. Se ancora nutrissi una fede, ne ricaverei la conferma
che un provvidenza per i giusti prima o dopo arriva, anche se fuori
tempo massimo. Da uomo confuso e sconcertato, mi limito a sorridere
non di ironia ma di un piccolo stupore vissuto da spettatore, da
lontano, chiedendomi cosa ne penserà, dall'alto del suo non essere,
questo Cappuccino che dal Montenegro si fermò a Padova, dove riuscì
a compiere la sua missione: aiutare tutti, ma proprio tutti quelli
che gli capitò di intercettare.
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