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PARTIRE, LASCIARE


Quante case ho lasciato indietro, quanti luoghi che mi mancano ho addosso. Dentro me. Un'ultima occhiata, di rimpianto o di risentimento, ad archiviare la vita e poi via, verso quella che resta. E pesano quelle porte sbattute alle spalle, quei tonfi di silenzio dove piange la sconfitta, protesta l'infelicità che muore per risorgere altrove. Non so se mi fermerò qui o se questo è il mio destino, partire ogni tanto, lasciare, lasciarsi, io che non ero zingaro, ti ricordi Cesare quei pomeriggi roventi di novembre, mercoledì di coppa, quelle partitacce mitteleuropee in mezzo alla neve, che pareva anche a noi di battere i denti e invece eravamo nel tepore della sala tua, il Guerin Sportivo fra le mani croccante, appena uscito, la mattina prima di andare a scuola era lì che ci aspettava all'edicola sotto casa e lo infilavamo nello zaino, tutte ce le fumavamo quelle partite grigie, c'era già il colore?, non lo so, io le ricordo in bianco e nero, e grigi i pomeriggi a sfotterci e esultare, ti ricordi Cesare la volta che andammo a San Siro, a vedere l'nter, solo il secondo tempo, che aprivano i cancelli e ci fiondammo nei distinti e tu, che avevi un talento maligno per rompere i coglioni, individuato il mezza età più disperato e più sfigato di tutti cominciavi a battergli nelle orecchie quelle tue mani sconfinate e ossute, “Lele-Lele-Lele!”, sempre più schioccanti, sempre più vicine finché il poveretto, esasperato, intontito, si voltò e ti mollò un gancio e io a ridere e tu a ridere, ma un poco amaro, sul tram che ci portava via da una domenica grigia che già stemperava in notte, verso un'altra settimana fosca, d'autunno color smog. Ma l'avremmo esorcizzata con un altro mercoledì, e gli altri pomeriggi in giro sotto la pioggia, bar dopo bar, bettola su bettola a cercare “i bottiglini”, quei mignon che compravamo a decine senza sapere che farci, a reperire i Diabolik, i Kriminal alle bancarelle, con quella polvere di cantina sopra che si spalmava sulle dita e non andava via. La muffa di storie ignote aggiungeva mistero a quei laghi d'inchiostro che grondavano sangue, a fumetti ma denso, di crudeltà audace. Adesso in questo novembre che sa d'aprile, grigi sono i capelli e quando il sole va giù io non mi oriento, mi sento orfano come tu ti senti, per dire senza difese, senza spalle coperte e certi momenti non so dove andare, non so che pensare e più chi sono. E non mi paiono possibili quei giorni di gioia grigia, e che non ci siano più, e che siano così inesorabilmente evaporati, così evaporati. 

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