Per cogliere l'autentico spirito di tolleranza e rispetto di chi li sbandiera, non resta che verificare i commenti seguiti al mio ricordo di una ragazza italiana morta a Parigi: da “sei come i terroristi” a insinuazioni, insulti, provocazioni fantasia. Ed era il ricordo di una vittima. Leggere per credere: non ho scritto che voglio sterminare chi vuole sterminarmi, che occorrono vendette esemplari, che “Oriana aveva ragione” (non lo penso, e non la sopporto neanche postuma) o che io non li ammetto qua; neppure arrivo all'estremo di un Magris, oggi sul Corriere, che taccia il buonismo di razzismo alla rovescia e spiega perché è necessario distruggere la minaccia dell'Isis prima che ci annienti. Niente di tutto questo nel mio intervento, dove d'altra parte sostengo che è impossibile all'Islam dominante, che fatalmente coincide con quello delle minoranze terroristiche, accettare la democrazia di chi è diverso. Del resto, basta poco per ascoltare dai moderati-dormienti arabeschi verbali di riserve, di distinguo che nascondono una insanabile ostilità; e dove sta la condanna, ferma, aperta, senza riserve, di quanto accaduto? Circa i moderati-moderati, sì, ci sono, sparsi nel mare dell'odio, sono quelli realmente integrati, proprio per questo considerati persi dalle minoranze scalmanate, che li considerano occidentali di rigurgito da sistemare anch'essi almeno finché non si riconvertono, e comunque contano niente. Quali pezze d'appoggio cito un politologo come Sartori, nell'ultimo “La corsa verso il nulla”, o l'inviato de la Stampa, Maurizio Molinari, su “Il Califfato del Terrore”. O le riflessioni del cattolico Chesterton, che pure, da non religioso, non accolgo né acriticamente né tantomeno in toto, in “Ortodossia”; ma restano per me intuizioni, illuminazioni con cui confrontarsi. Evidentemente, a certa gente le evidenze non bastano mai, seppure in forma di eccidi. Ma rimuovere questo, significa consegnarsi a nuovo dolore. Non c'è alternativa.
Ora, certi soggettini allevati alla scuola dell'obbligo ideologico possono mascherarsi, ma, alla lunga, la loro essenza sgorga: e quello che sgorga, non mente. Sono, poi, anche molto decenti: si vergognano di me, ma non dell'aiuto che mi chiesero o mi strapparono. Il “terrorista” non veniva disdegnato quando poteva servire una raccomandazione per un concorso musicale, l'esaltato non lo era quando poteva risolvere una impasse, l'infame poteva far comodo se c'era da far circolare, ovviamente senza figurare, i bilanci di un giornale musicale a un passo dalla bancarotta. In privato, amici preoccupati per me, che forse sanno qualcosa che io ignoro, mi consigliano di non espormi: se è per questo ci sono abituato, ma non è che mi espongo, rivendico semplicemente il mio diritto ad essere infelice di fronte alla fotografia di una fanciulla, disagio che non mi viene perdonato specie se contagioso, specie se turba chi vorrebbe ammuffire al caldo malsano di certezze marcite. È dura ammettere di essersi sbagliati, lo capisco. Ma non sono io che vago per altrui indirizzi a riempirli di anatemi e improperi, convulsioni che suggeriscono anche troppi presupposti; certo, non si può pretendere da me la viltà di tacere di fronte all'invettiva, alla calunnia; tutt'al più, ci perdo molto meno tempo di prima, ma una risposta non l'ho mai negata a chi mi attacca, frontalmente o con tratto insinuante cambia poco: la considero imposta dalla dignità, al ricatto del silenzio non mi sono mai piegato, anche se probabilmente in futuro mi limiterò a smammare i molesti senza una parola perché mi annoio più in fretta di prima. Così che non mi resta che concludere: ecco, questi sono i pacifisti, i tolleranti, gli illuminati, le sentinelle della “parola che non si processa”, ma in caso si decapita, che non cerchi ma ti cercano, che manco sai che esistono ma si sforzano di fartelo sapere, più ne prescindi e più non prescindono, più non ti vogliono e più non ci rinunciano, più li allontani e più tornano per altri pertugi, più ti dicono che nessuno ti legge e più son lì che compulsano, è dai tempi del famoso giornale musicale che me li trascino appresso, maledetto me. Figurarsi quanto c'è da fidarsi.
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