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L'IMPOSSIBILE VIVERE


Guardo il volto solcato di Ilaria Cucchi, un volto tutto ombre sul quale hanno spento la luce, la guardo mostrare la gigantografia del fratello maciullato e non saprei dire quanto strazio costa quel gesto e non saprei spiegare perchè in questo Paese bisogna sempre umiliarsi, devastarsi per poter affermare il semplice diritto ad essere cittadini. E non ci si riesce. Ilaria credeva nella giustizia, perché doveva crederci, e non smette di crederci adesso, nonostante tutto, perché non può permetterselo. Questo lo capisco. Lei dice che i due pubblici ministeri hanno sbagliato impostazione, ma non le viene il sospetto che l'abbiano fatto apposta, nella peggiore tradizione dell'italico bizantisimo grandguignolesco? Ma sì, certo che lo sospetta, certo che lo sa ma non può ancora dirlo. E piange, e reagisce, e ancora non si dà per vinta, come la madre di Aldrovandi, come tanti altri. Ma lo Stato sordo, spietato. Beffardo. Il Sap, questo osceno, piccolo sindacato di legionari, che leva gestacci senza vergogna, che manda comunicati deliranti, chi razzola male, chi non è come noi lo vogliamo, ha quello che si merita. “Ma cosa c'entra il drogarsi di mio fratello col macello in cui l'hanno ridotto?”, chiede retoricamente Ilaria Cucchi mostrando la gigantografia del macello. Retoricamente, perché è chiaro a tutti che si tratta di una provocazione totalitaria da quelli che vorrebbero edificare l'uomo nuovo alle loro condizioni. Ma il Paese scomposto ormai non si scompone più, ha altro da pensare e piccoli, abissali squallori come questo Sap restano al loro posto, nessuno ipotizza niente a loro carico perché, per piccolo che sia, anche questo è un serbatoio di voti, forse anche in grado di intimidire qualche toga don Abbondio. E così si gioca il destino senza futuro di un cittadino, si chiami Cucchi, si chiami Tortora, che incappa nelle tenaglie di uno Stato Leviatano, Moloc, chiamatelo come vi pare, e deve dannarsi l'anima in imprese disperate, nella missione impossibile di essere cittadino, rispettato come tale, tutelato come tale. E non ci riesce. Vivere qui è una roulette russa, a chi tocca tocca e più ti agiti e più perdi i pezzi, con la gente che ti dice “non mollare” e tu che invece non ne puoi più. Ma perché? Perché santo Dio un giorno ti prendono un parente, lo arrestano fingendo di crederlo un altro, lo massacrano di botte nelle segrete di un Palazzaccio, lo scaricano in una cella, lo isolano dai parenti e dal mondo, lo lasciano lì finché muore d'inedia, come in lager, e tu devi vederti assolti tutti gli aguzzini e in più sentirli che ti mandano affanculo, ti offendono platealmente, ti criminalizzano, disprezzano la loro stessa vittima? 
Il giorno della sentenza non riuscivo a calmarmi, la vedevo come la conferma della mostruosità dell'impossibile vivere da cittadino italiano e ho mandato un messaggio a Ilaria Cucchi, per dirle che soffrivo con lei, che non mi rassegnavo. Non mi aspettavo rispondesse, ma a sera l'apprecchio ha vibrato: “Grazie”.

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