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LE SIRENE DI NAPOLI


Abbiamo una naturale fascinazione per Napoli, perché è bellissima, pazzissima, a suo modo integra nel suo essere al di là del bene e del male ma Napoli non può approfittarsi in eterno della sua offesa bellezza e della sua follia. Quello che si legge in queste ore a proposito dei tre balordi che hanno quasi ucciso un quattordicenne in quanto obeso, gonfiandolo con un compressore infilato nel culo, ha dell'osceno: si va dalla teoria dello scherzo, sposata dai genitori dei balordi e dal ceffo dell'autolavaggio teatro dell'impresa, allo sperimentato vittimismo antinordista, al contorto complottismo anti De Magistris, alla immancabile “questione culturale” che al netto dei napoletanismi vuol dire: noi siamo così. Sì, ma non è detto che il mondo debba accettarlo. Intendiamoci, mascalzonate come quella dell'autolavaggio non hanno patria: ma è il modo di giustificarla, per poi romanzarla, per infine epicizzarla, che non si sopporta, non si accetta più. Napoli, il suo anarchismo atavico, il suo far west malavitoso, i 47 clan camorristi che si spartiscono la provincia, la sua colorata invivibilità convivono con un autogiustificazionismo che congiunge Lauro a Saviano passando per Ermanno Rea, per la pletora di attori, artisti, scrittori napoletani impregnati di napoletanismo connivente. Gli stessi che quando Giorgio Bocca scrisse “Napoli siamo noi”, lo liquidarono come razzista. Ma nessuno seppe offrire un rimedio per i mali storici, atavici della città, storici in quanto costantemente ignorati, metabolizzati, derubricati universalmente a scherzo, a questione culturale, a inevitabilità di un destino mitico, omerico. “Mica è morto” ha detto incredibilmente il ceffo dell'autolavaggio, che probabilmente aveva assistito alle sevizie. Incredibilmente, ma appoggiato subito da altri ceffi. Invece il ragazzino sta morendo sul serio, cosa che non turba i parenti dei guappi: “Ma sì, una stupidaggine, come si fa a criminalizzare un gioco?”. Roba che ti vien voglia di metodi non convenzionali, alla guerra come alla guerra.
Napoli è Napoli, ma non può continuare a perdonarsi. E' unica, resta unica grazie e malgrado le sue ferocie e le sue pittoresche assurdità, ma questo ostinato chiudere gli occhi davanti al peggio non si può più sopportare, non si può più subire. Questa faccenda della “questione culturale”, che si traduce con “voi non potete capire, voi siete tutti stronzi”, non si può più avallare. Anni fa, a Firenze, partecipai con Daniele Biacchessi ed altri alla proiezione di un film sulla figura di Giancarlo Siani, il giovane cronista ucciso dalla camorra. Dopo andammo a cena e mi toccò litigare col regista: riusciva a parlar male di Saviano e insieme a difenderlo, liquidava la camorra, manco a dirlo, a “una questione culturale”, ne addossava la colpa agli intrecci democristiani degli anni Sessanta, il fatto che persino Garibaldi fosse stato costretto a chiedere permesso ai signorotti camorristi, che si tramandavano la malavita da tre secoli, il fatto che con la camorra ci convivessero e ci convivano tutti, anche i centri sociali, anche le politiche di sinistra, non gli importava, lo rimuoveva. Di rimozione in rimozione arriviamo all'oggi. Tre balordi gonfiano un povero ragazzino obeso pompandolo su per il culo e il vittimismo partenopeo li glorifica a furor di popolo: urla la madre della vittima, urlano (e minacciano) i genitori dei balordi, urla il ceffo dell'autolavaggio, urla la plebe, urlano i comprimari, urlano quelli che passano più o meno per caso e capisci che non è una “questione culturale” o meglio lo è nella misura in cui serve a non far capire più niente, a disperdere senso, comprensione e responsabilità nell'immenso casino che avvolge, da sempre, questa città più unica che rara. E i giovani non fanno eccezione, non sono meglio, pure loro prede delle sirene revisioniste, autogiustificazioniste. Quando hanno dimesso De Magistris per nefandezze da pubblico ministero, ho scritto che la città non aveva mai avuto tanti problemi. Subito un lettore mi ha invitato a infilarmi “o cazzo in culooo!”. Con tante “o”, urlava pure lui. 

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