Se c'è un caso in cui dire “io l'avevo detto” è odioso e insieme necessario, è questo. Forse qualcuno ricorderà l'intervista che qualche anno fa mi concesse Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, per un giornale musicale gestito, allora come in passato, da gente che non meritava certi exploit. Era l'inizio di una vicenda processuale disperata, condotta con disperata speranza, ma per la quale arrivai a ipotizzare, anche con l'interessata, l'esito che oggi si è confermato. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ci credeva, aveva l'obbligo di credere in una giustizia comunque. Io però ne avevo già viste troppe, come cronista, e da tempo non avevo più alcuna residua fiducia in questo Stato, in questa Giustizia, in questo Paese. E non avere speranze è l'unica cosa da fare: la verità, unica, vera, brutale, è che lo Stato assolve sempre se stesso, subito o alla lunga che sia. La verità, unica, amara come il fiele, è che per lo Stato un tossico, un perdente, un debole non conta un cazzo, non vale lo sforzo, non esiste. Anche se viene massacrato dai tutori dello Stato nei sotterranei di un Palazzaccio dello Stato. Anche se viene torturato come in un lager nazista o koreano, di quelli che ultimamente tanto piacciono ad alcuni esponenti dello Stato (senza che nulla accada, senza che vengano chiamati a rendere conto delle loro apologie criminali). Stefano Cucchi era un nessuno, e i suoi 37 chili adesso si disperdono al vento: domani il suo nome tornerà un suono vano, tranne che per i suoi familiari. Chi era, in fondo? Un nessuno, che non meritava la tutela di uno Stato e dallo Stato. Ma invece, la sua fine inaccettabile, il modo ignobile con cui lo Stato la liquida, è una tragedia che, egoisticamente, riguarda tutti, nessuno escluso: per l'immane ingiustizia perpetrata, e perché potrebbe toccare anche a noi. A quanti, almeno, non hanno tutele di Stato contro lo Stato. Nulla si può fare, scendere in piazza, magari per sfasciare a caso, serve a niente ed è assurdo; mandare messaggi sui social serve a meno ancora, ed è patetico; ma che almeno si sappia di essere tutti in balia di ciò che ci stritola. Che la si smetta con le esaltazioni legalitarie, burocratiche, moralistiche. Che la si faccia finita di scambiare il cinismo con la democrazia, la vessazione con la tutela. Che si mantenga la consapevolezza che uno Stato, quando si comporta in questo modo, non è altro che una spaventosa trappola senza uscita. Che almeno non si dimentichi. Che non si disperdano i nomi di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, e di tutti quelli con due fotografie: quella sorridente da vivi, quella ingiuriata da cadaveri.
Vergogna ! Un abbraccio alla famiglia e a Ilaria, che so indomita.
RispondiEliminaFrancesco
Torno su questa tragedia: sento dire e leggo, inter alios Massimo Fini, che in genere apprezzo pur non condividendo parecchie delle cose che dice, che la sentenza di assoluzione è giusta perchè la responsabilità penale è personale e in mancanza di prove certe non si può condannare. Giustissimo, e anche ovvio sebbene si tratti di una di quelle ovvietà che è bene ricordare sempre. Il punto però è proprio questo: la vergogna per uno Stato che, nel suo complesso, non è stato in grado di accertare le responsabilità dell'omicidio di un povero ragazzo che esso Stato aveva in custodia.
RispondiEliminaFrancesco
Per Massimo Fini sono giusti anche quelli dell'Isis che martellano le loro donne: la frustrazione è una brutta malattia.
Elimina