Ci son di quelle cose che se le dici passi subito per gomblottista, ma se non le dici ti senti omertoso. Allora proviamo a mettere in fila i fatti e solo quelli, anche se già così la malizia è insita. Il fratello della presidente della Camera Boldrini, che è un pittore non ispirato al realismo socialista, bensì metafisico, di colpo espone al Maxxi, gestito dalla compagna, in senso lato, Melandri, e in altri musei capitolini. Bene bravo bis. Ora, l'associazione sorge spontanea: potere uguale opportunità. La Boldrini di turno, a questo punto, potrebbe salvarsi nel solito corner di tutti i potenti: che ha fatto di male mio fratello per essere mio fratello? Ma così è troppo facile, è distogliere l'attenzione, dirottarla nel vittimismo; si potrebbe, per esempio, controdomandarle: cosa hai fatto tu di male (o di bene) per essere sua sorella? Il fatto è che dove c'è potere, c'è casa. L'ex rettore della Sapienza Luigi Frati aveva trasformato l'ateneo più mastodontico d'Europa in una trattoria a gestione familiare; il sindaco di Napoli De Magistris, ora sospeso, aveva imbarcato come vice suo fratello, impresario, e diceva: ma lavora gratis. Solo che i soldi, il Demagistrino, li pigliava, va' a capire perché, dall'Italia dei Valori. Tu chiamalo, se vuoi, nepotismo oppure colleganza o semplice coincidenza esoterica, ma la storia d'Italia coincide con quella dei cognomi: per chi li ha. Longanesi ci aveva fatto su pure una filastrocca: “Su fratelli, su cognati, accorrete in fitta schiera...”. Non si son mai fatti pregare. Certo, predicare è facile, se non sei figlio di un cognome: privilegiare la virtù all'opportunità è un'altra cosa, e qui nessuno è Kant. Da nessuna parte, in Inghilterra la chiamano “connection”, e in certi meravigliosi romanzi di Simenon affiora tutta la colleganza, a Parigi come in provincia, dei nati bene, generazione dopo generazione. E che cosa sarebbero i regimi dittatoriali se non prosecuzioni dei reami dinastici? È il mondo: forse in Italia giusto un filo più esasperato, più disinvolto. Più paraculo. Qui ci son figli di un cognome che fanno carriera anche se il cognome è malfamato, perché chi siamo noi per giudicare quel che è passato in giudicato? Poi si sviluppa qualche casato, che ricorda più i Sopranos del protestantesimo domestico: “La famiglia è fonte di benedizioni e maledizioni per un popolo”. L'invettiva di Gide, “Famiglie io vi odio”, non è che abbia molto corso, tira sempre il familismo amorale di Banfield a Montegrano, anche versione “due punto zero”, e il motto “tengo famiglia” ha sempre giustificato qualsiasi nefandezza: gli altri capiscono. Non serve neppure la app “family aid”, perchè sta nel corredo genetico, nel dna: dalle Alpi al Lilibeo chiunque "prima che marito a te, è fratello a me", ogni scarraffone è bello a mamma sua, e del diritto mammifero, amministrato dalle mamme coraggio, vogliamo parlare? Tutti quei parenti illustri dicono dei loro cari: non perché è mio sangue, ma è proprio bravo. Ci mancherebbe. Quando ero giovanissimo, mio padre, commerciante nella Milano frenetica degli anni Settanta, trafficava un po' con tutti, senza andar troppo per il sottile, e capitava anche, niente paura, qualche camorrista. Una sera, a una cena, stavamo tutti sotto il comando di Zio Pasquale, seduto a capotavola con la pistola dal calcio di madreperla sul tovagliolo, e il suo erede, che sembrava Lando Buzzanca, così disse a mia madre: “Signò, voi avrete pure dei bei figli: ma vedesse i miei...”. Ci credo, rispose mia madre.
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