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VIA ADELCHI


C'era una via che ti dicevano di stare lontano ma era impossibile. Chi conosce Lambrate se la ricorderà, via Adelchi. Così esagerata con quel nome medievale, letterario in trenta metri di vecchia Napoli tutta diroccata, malnata, suggestionabile. No, non si poteva farne a meno per quanto era bella e perché comodissima, passaggio obbligato tra le arterie di via Porpora e via Vallazze. Mai capito come potesse essere pericolosa un ponticello tra due sponde trafficate e normalissime, piene di botteghe, di famiglie ma in effetti metteva un po' paura ed è per questo che ci vado, rimiro ogni angolo, fiuto dappertutto come un cane, piscerei contro i muri se potessi. C'era ricordo un ufficio postale sempre farcito di varia umanità e poco dopo sfociava d'angolo all'altezza dell'International Shop, che era la nostra jeanseria da terroni, da tamarri. Non mi ha mai deluso via Adelchi, estate e inverno aveva sempre nuovi fantasmi da propormi. Sempre gioia. Forse per la forza ostinata che sta nel brutto e nello squallido, la disperazione in fondo è speranza che non si rassegna. Ma che cazzo teorizzo a fare? Se ci penso, è la via più vita che tengo nel cuore ancora adesso, che non me la ricordo più. Semplicemente sta, sedimenta in me. Tutti gli altri posti li ho presenti, qui, davanti agli occhi, via Adelchi solo un segmento nebuloso, confuso, perché era troppo carica, troppo evocativa. Più la guardavo e meno la vedevo, me ne facevo permeare, la lasciavo entrare in me mentre ci entravo. Le cose troppo forti non le possiedi, le assorbi. Adesso so che c'era una birreria, dove la gente fa casino fino all'alba, mi par giusto, e ho letto che una volta hanno smurato il bancomat delle Poste, che quindi ci sono ancora, sfaciando 8 macchine. Certe vie hanno un destino segnato, non importa quanto corte, quanto presuntuose con quel nome medievale e quella funzione da ufficiale diplomatico di collegamento fra due arterie che arrivano fino a Loreto, fino in centro. Passavamo da via Adelchi e io mi sentivo altrove e uscivo da me, mi tramortivano le onde come in una pinacoteca ma quei dipinti erano vivi, si animavano nei silenzi, non c'era bisogno di immaginare niente perché era la via che ti immaginava, significante senza significato dai troppi significati, era phoné, era pornografica, era o-scena, era un non-luogo dove il tragico aleggiava, disfacimento attivo, non kronos ma aion e chi vuole capire capisca, via Adelchi.

Commenti

  1. Chissà come mai, ma è sempre rimasta nel cuore anche a me. Mi fermavo qualche istante, ricordo, a leggere il nome della via: Adelchi. Non che l'avessi vissuta, non vivevo a Lambrate, ma lì alla fine del liceo, lavoricchiavo la domenica mattina. C'era un call center, dove facevamo assurde ricerche di mercato per chissà quale padrone, per beccare (poche) lire (tanti) mesi dopo. Eppure è vero, la decadenza di certi non-luoghi, arrivano dentro fino alla carne, fino a quando te ne accorgi, ed è la nostalgia la sola compagna che ti sussurra che quello era un luogo, e da lì sei passato non invano...

    Carmine, da Milano

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    Risposte
    1. Vero? Ma penso che la tua nostalgia sia più fresca, meno remota della mia.

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    2. Vero! Pensi bene, parlo di una ventina d'anni fa... Grazie per questo pezzo.

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  2. Una via di merda in una città di merda dove la quantita di gente di merda non fa difetto.

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  3. Vedo che però questa mia poesia l'hai approvata, mentre quelle che ti rodevano il culo no.
    "Lei è un censore delpapa".

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  4. la censura è una cosa seria, tu sei solo un segaiolo da forum (altrui) e se mi riempi di piccole eiaculazioni, io ti debbo pure eliminare. tu non esisti, vai a non esistere altrove.

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