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HO VISTO ANCHE DEI CINESI FELICI


Siccome conservo le depravazioni del cronista, tra le quali il voyeurismo, stamattina non ho resistito e mentre mia moglie si aggirava per straccetti del mercato, io ho attaccato bottone con alcuni bancarellari, in larga parte cinesi. Mi ha colpito in particolare quello che mi ha detto una coppia, di età indefinibile, entrambi allegramente disfatti dal caldo e dalle levatacce quotidiane, da una vita non proprio di villeggiatura. Eppure felici. Perché sembrate felici?, gli ho chiesto. “Quello che voi italiani non volete capire” mi rispondevano, vagamente ironici “è che noi siamo più felici col capitalismo che ci sfrutta piuttosto che con Mao che ci emancipava. Qui noi implenditoli. Piace lavoro. Piace Italia. Vita non facile, ma mai facile. Se tu credi che a Prato o a Porto San Giorgio o a Milano noi stiamo male, tu vai ancora nelle campagne di Cina e così tu vedi, capisci”. Io, che propriappunto le campagne fuori Guangzhou ebbi modo di visitare quindici anni fa, restandone estasiato, così poeticamente derelitte, così purissimamente incontaminate dal consumismo com'erano, la delizia e l'orgasmo di finissimi intellettuali come Pasolini, a maggior ragione mi sono scandalizzato, anzi indignato: ho risposto che loro evidentemente non sapevano di cosa parlavano, che di comunismo non capivano niente, e li ho invitati a considerare che noi, qui, abbiamo Laura Boldrini e Nichi Vendola, Rodotà e Sabina Guzzanti, abbiamo tutta una letteratura preziosa, come i wu ming e gli altri tifosi di Cesare Battisti, abbiamo Saviano, Erri de Luca, il concertone sindacale con gli artisti impegnati, abbiamo Susanna Camusso e i Notutto, abbiamo perfino Grillo con la decrescita felice. Quegli stronzi mi hanno guardato, poi si son guardati loro e si sono messi a ridere.

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