Sono
entrato non per pregare ma per perdermi. Sono entrato non per
raccogliermi, perché non so più come si fa, il mio inferno è avere
ucciso la speranza, volevo solo impregnarmi di quel non tempo dentro
la chiesetta immutabile, la Chiesa della Pietà, sempre la stessa da
quando sono nato, da quando un sacerdote pazzo vi celebrava da
posseduto e fuori tutto cambia ma Fermo cambia poco, a fatica e la
chiesetta lungo il corso Cefalonia non ha mai sostituito, credo,
neppure una sedia. Anni, decenni, secoli di messe, di rosari, neri
golfini di contadine a inghiottire il tempo. C'erano una decina di
vecchi, storditi, che recitavano letture, ogni tanto uno si
interrompeva perdendo il filo e un'altra lo correggeva. Un
extracomunitario, nordafricano e un giovane, di quelli che lo vedi
subito che hanno problemi, che stanno da soli dietro gli occhiali
scuri anche in chiesa. Fuori il mondo esplode, le metropoli
sconfinate, che non riposano mai, il mondo che scoppia di
cambiamenti, rigurgita di drammi e di energia sprecata e qui il
nontempo stagnante, pozzanghera che risucchia,
toglie quasi il respiro. Tramortito rincorro le tonnellate di aurore
d'estate che promettono vita tradita, di pomeriggi abbacinanti, di
sere inutili, e di albe livide d'inverno, che promettono buio
rispettato, di pomeriggi abortiti, di sere taglienti di vento di
cristallo, e, a casa, un altro pezzo di morte per cena. Qui dentro
tutto immutabile, senza inizio né fine, come l'Immenso ha da essere. E
non si sa cos'è più inutile, cosa è più perduto, se il mondo
immane, velleitario di fuori o questo teatrino della fede che annulla
e tiene insieme l'eternità delle stagioni. Sento depositarsi addosso la polvere
della storia, questa storia minima di messe, di rosari, di vecchi
disperatamente attaccati a una celebrazione, di seggiole col Parkinson, velluti polverosi, stucchi scrostati, in alto l'intonaco
s'è staccato e proprio a fianco al Cristo sofferente, diretto al
Calvario, proprio sulla sua spalla appesantita dalla croce, la forma
di un teschio lugubre e irridente, un disegno infantile del nontempo,
un graffito crudele. Forse ero io che lo vedevo così.
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