Anche
io sono un autonomo. Un freelance, ma qui non conta il mio ruolo
professionale, conta il modo in cui vengo considerato, anzi
sconsiderato, dallo Stato. Anche io sono una partita Iva. Detta così,
viene in mente la poesia di Langston Hughes: "Anche io sono
l'America". Bene, anche io sono l'Italia. Quel frammento
d'Italia che gli altri considerano malfattore a prescindere. Sono una
partita iva, nessuno tifa per me: i manager da “toglietemi tutto ma
non i miei superbonus” vivono fuori dal mondo, gli industriali mi
considerano carne da cannone, per i sindacati esistono solo statali e
operai. Sto nella terra dei nessuno, il vero ammortizzatore sociale,
il materasso su cui lo Stato da sempre scarica i costi delle garanzie
altrui, giuste o esagerate che siano. Nessuno si occupa di noi, ma
anche noi siamo l'Italia, senza la polvere della nostra fatica la
nave allo sbando naufraga. Siamo l'alibi che ha permesso in tutto il
dopoguerra di passare dalle aspettative alle rivendicazioni ai
diritti ai diritti acquisiti alle pretese intoccabili: per molti, ma
non per noi. Quando qualcuno dice di battersi contro la
precarizzazione dell'Italia, mente: la precarizzazione gli va
benissimo, basta continui a colpire quelli come me, che non sono mai
stati nemmeno precari. Quelli che, se per salvarsi aprono un
localino, sono tenuti a 400 adempimenti l'anno senza contare la
corruzione spicciola cui debbono soggiacere, altrimenti chiudono. E
chiudono: mai visti tanti negozi morire sul nascere, quando ero
bambino non succedeva, un negozio durava una vita, invecchiava
insieme ai suoi clienti e al suo proprietario, che poi lo passava al
figlio: e il giro della vita ricominciava, e così restavano in vita
i quartieri e le città: che erano fatte di negozi. Adesso niente
dura più. Adesso vedi una inaugurazione e, dopo due o tre mesi,
trovi solo un buco dietro al vetro sporco, le città sono processioni
di sconfitte.
Quanti
siamo, “ciascuno con i suoi guai”, come cantava Vasco Rossi nel
Roxy Bar, che ha appena chiuso pure quello? Siamo milioni. Ma se
qualcuno si pone il problema di quelli come me, subito gli dicono che
non è abbastanza di sinistra, che è un infame.
Ma
anche io sono l'Italia. Solo che non ce la faccio più. La notax area
è l'ennesima fregatura. Nel 2013 ho fatturato 5000 euro e ne debbo
versare circa 1200 allo Stato. Siamo al di sotto di ogni
sopravvivenza, perché non posso contare su rendite ulteriori o
eredità. Ci ho rimesso a lungo andare la salute, e anche
l'equilibrio psichico, perché vivere con l'incertezza non del
domani, ma del presente, finisce per minare il cervello, per
modificare il funzionamento delle sinapsi; intanto logora, logora.
Una “collega” di partita Iva, Daniela Fregosi, è uscita allo
scoperto denunciando un cancro, che l'ha resa malata di serie B. Io
ho appena scoperto che la mia bocca è franata, debbo farmi tre ponti
e da anni vivevo con una intossicazione da piombo che mi devastava.
Che faccio, lancio un crowfunding per coprire le 2400 euro che mi
servono assolutamente?
Tutto
questo logorio, sarà pleonastico, consuma. E mina l'anima, o quello
che sia: nessuno ha ancora affrontato questi aspetti, ma lavorare per
venti o trent'anni così, perché comunque si lavora, si corre, si
macina un calendario dopo l'altro per mettere insieme il niente,
condannati ad una immaturità di ritorno, a cristalizzarsi in una
adolescenza perversa e non sognata. Non si può programmare niente,
non ci si possono assumere responsabilità. Finché un giorno frughi
nello specchio e scopri un vecchio. Un vecchio fragile, malandato,
ricattabile. E spaventato. Un vecchio sconfitto.
Non
rivendico niente, non ci sono abituato, non incolpo nessuno, non
giudico chi è garantito: mi basterebbe che il gioco fosse uguale per
tutti. Non chiedo più diritti, mi basterebbe mi fosse tolto qualcosa
in termini di doveri. So che la coperta, da lunghissima che fu, si è
fatta corta, sbrindellata e tarmata. Ma non accetto più che la si
debba sempre consumare solo dal mio lato. Un morto di lavoro o senza
lavoro è sempre una tragedia, ma questo per noi non vale, se mi
ammazzo io non succede niente. Qualcuno ha mai letto un titolo,
“Partita iva si uccide?”. Farebbe solo ridere.
Anche
io sono l'Italia, ma se racconto questo, nessuno mi presta
attenzione; al massimo, le reazioni sono due, ovvero le facce di una
medaglia di stagno: o "Dici palle, evasore", oppure "Perché
non evadi, idiota". Io sto tutto in questa forbice, tra il
sospetto e il disprezzo. Ma non sono nessuna di queste due cose:
semplicemente, fino a 50 anni sono stato un galantuomo. Certo, se
oggi io potessi vendermi, rubare, mentire, evadere, lo farei. Mi ci
ha spinto lo Stato, è stato questo Stato a trasformarmi così. Io ne
ho terrore, e il mio istinto di sopravvivenza si risveglia.
Ma
ormai, probabilmente è tardi. Di cosa potrei approfittare, nelle mie
condizioni? Senza pensare che, anche volendo, i pagamenti elettronici
generano tracciabilità totale e immediata. Apposta l'hanno
inventata, e non certo per noi; non per facilitarci la vita, ma la
morte. Chi mi accusa di evadere, allo stesso tempo mi gratifica
d'imbecille perché non evado. E questo, sinceramente, brucia. Così
come brucia essere messi nel mucchio degli evasori seriali, dei
superladri. O sentire che sempre e solo gli altri sono considerati
“lavoratori”, per definizione, per antonomasia. Anche io sono
l'Italia, anche io faccio fatica.
Ho
fatto di tutto in questo mestiere, e l'ho fatto bene: 25 anni di
lettori fedeli sono lì a confermarmelo. Sempre sulle mie spalle, e
mai coperte: va bene, ma quando, oltre a tutto il resto, è lo Stato
a franarti sopra, quando sul ring sono due bastardi a picchiarti,
l'avversario e l'arbitro, nessuno può resistere. Sono stufo di dover
ripartire sempre da capo, versando sempre più tributi al nulla,
mentre il Capo dello Stato una volta l'anno cambia il portinaio al
Palazzo, così può ricominciare il balletto delle promesse, dei
trucchetti, delle truffe, delle rapine di uno Stato che non ha pietà.
Io sono peggio che stanco. Sono svuotato. Sono giunto a odiare la mia passione, scrivere. Sarebbe stato meglio non incontrarla mai e avere una vita normale. Ma non rinuncio a dire, a nome di tanti, di troppi, che non ne
posso più di questo disprezzo intinto nel compatimento. Siamo paria,
ma con qualcosa di peggio, con lo stigma della truffa addosso. Io
sfido sempre tutti a verificare i miei conti, offro accesso ai miei
estremi bancari. Ma nessuno ha mai raccolto la provocazione. Io
rimango un evasore che non evade, un lavoratore che non lavora, un
disoccupato che sfacchina. Un coglione.
caro Massimo , anch'io sono partita iva ma , per ora , vivo meglio di tanti , con la consapevolezza che : se non cambia l'andazzo , verro' a farti compagnia :)
RispondiEliminada quando ti leggo ho la quasi certezza che se avessi avuto una bella lingua , resistente alle superfici abrasive delle infrachiappe , a quest'ora eri una firma della sezione cultura di un fatto quotidiano qualsiasi.
sei ancora giovane , m'auguro che accada ( salvaguardando le mucose della bocca ) che ci sia spazio per te nell'immaginifico mondo della cultura italiona.
Vp
Mi dispiace, Vp, ma a 50 anni non si è giovani, anche se ovviamente sottoscrivo quel che dici sull'ENORME talento di Massimo.
RispondiEliminaBuon per te che te la cavi. Quando ti va di culo, il lavoro autonomo è l'unico possibile in un paese fermo come questo.
che dirti Alessandra,
Eliminapensa che , giusto settimana scorsa , un mio cliente di 70 anni mi ha parlato di un progetto di lavoro a 5 anni; l'osservavo ammirato.
Vp