Uno poi
prova a chiedersi il senso, a trovare il senso di una tragedia da
niente, un gatto che si uccide venendoti contro e ti dicono che non
hai colpa ma tu pensi che l'hai fatto soffrire, che moriva nel suo
sangue e sei stato tu a colpirlo, sei stato tu cagione, strumento,
incidente del male, hai assistito al suo spaventoso trionfo e mentre
un essere alieno ti guarda morendo, senza nessun rancore, senza
ricordarti che da te promana il suo strazio, rimani interdetto e la
visione della tua impotenza di scoglio disperato riemerge, si
staglia, implacabile torna, l'impatto di un attimo che ti aspettava
da quando sei nato, aspettava il gatto da quando era nato, ha
condannato lui e la coincidenza esiste nel momento che accade e
diventa insostenibile e misteriosa, esce da se stessa, pretende le
sue ragioni. E allora provi a capire, a cercare un significato, un
punto fermo, qualcosa che migliaia d'anni di filosofie e di religioni
ti hanno sempre agitato davanti senza spiegartelo mai. Provi a cavare
un segnale, a presumere l'evento da cui ricominciare, che ti indichi
qualcosa, che ti dia la forza di ripartire, di cambiare te stesso,
diventare più buono, più giusto, più taciturno, più saggio,
marmoreo come un capo indiano o semplicemente più maturo. Tenti di
sfruttare una catarsi, ed è la viltà più impalpabile. Frughi
nell'autocommiserazione, casomai rintracciassi pretesti da spendere. T'aggrappi perfino al'umanità di chi ti scrive. Addirittura alla complicità degli animali che t'hanno salvato mentre li salvavi. Provi, cerchi. Non trovi niente e questo ti svuota come una vena
tagliata, ti toglie ogni forza, ti lascia il maledetto sospetto che
la vita sia questo, un perenne insulso respirare tra piccole
disgrazie tutte uguali e inutili senza l'ombra di un senso e non c'è
eroismo né meschinità, non giustizia per le nostre lacrime, è solo
rantolare, non siamo diversi dai gatti che dormono, figliano, fanno i
ruffiani se vogliono mangiare, si ammazzano contro la tua Vespa e
siamo piante pensanti, crediamo di pensare, di essere liberi, di
decidere di avere gli dèi sopra la testa e crediamo che il nostro
rantolare sia importante, che porti da qualche parte, che lasci
qualcosa e invece non lascia niente, sale dal niente, respira nel
niente, ritorna al niente.
Vero, però questo "rantolare" possiamo renderlo più sopportabile, più piacevole per noi, e per le altre persone e animali che ci circondano. Oppure possiamo trasformarlo in un inferno!
RispondiEliminaSe tutti facessero sempre piccoli gesti di civiltà e umanità, come quello che hai fatto tu per cercare di alleviare le sofferenze a quel gatto finito sotto le ruote della tua vespa, il "rantolare" sarebbe un po' meno sgradevole