Li
riconosci subito. Hanno laghi negli occhi, di dolore, di sgomento, di
stupore. Li riconosci quegli sguardi vacui in apparenza, che
tradiscono il disagio di sapersi in ritardo, sempre compatiti, sempre
tenuti un po' indietro, a volte troppo avanti. Si portano addosso un
odore patetico, denso e inconfondibile. Nessuno vuole stare con loro.
Vivono rinchiusi in una fotografia, c'è un cantante che li
abbraccia, e ingiallisce ogni giorno, ad ogni sguardo. Momenti
d'ingenua beatitudine custoditi nei diari che nessuno legge, pieni di
niente, sono le loro reliquie patetiche, le mostrano a parenti che
non vogliono saperne, ad amici che proprio amici non sono, che non
vogliono entrarci in quelle camere atroci dove c'è tutto che manca,
c'è tutto che stona, i santuari strazianti della claustrofobia. Ma
loro s'illudono, con disperata forza, perchè nel loro stare indietro
qualcosa capiscono, l'essenziale lo colgono: io non sono come voi, io
debbo venire dopo, nessuno sa bene cosa farmi fare, dove sistemarmi,
cosa dirmi. Figli di una scintilla disgraziata, un capriccio, un
movimento sbagliato o un destino distratto. Figli di una mente un po'
vaga, che ne fa degli enigmi non del tutto inetti ma nemmeno
autosufficienti. Cascano nelle grinfie delle notti dolenti. Restano
nel sudore che inzuppa le lenzuola. Consumano gli stessi pensieri,
sempre quelli, dal respiro corto, dai disegni infantili. Non pesano
le loro lacrime, evaporano, sono ridicole. Le loro gioie sono
esplosive, i capricci devastanti, le malinconie indicibili e
inquietanti. Perché nessuno può capire davvero, ma tutti immaginano
benissimo. Sono gli abbonati alla solitudine, sono gli usati, quelli
che non conoscono amore e se incontrano il sesso sarà una squallida
tragedia. Sono incapaci di difendersi, di intuire, di ribellarsi.
Eterni cuccioli sgraziati, che incontrano sempre qualche lupo. Più
di qualcuno.
Ma
alla fine, prima o dopo, presto o tardi, una volta o l'altra, tutti
si riscoprono cuccioli. Deboli. Ritardati. Ma alla fine ci si
specchia in quegli sguardi di lago e si scorge la propria immagine.
Non c'è bellezza per loro, li evitiamo per evitare noi stessi, per
non lasciarci contagiare di dolore e di tenerezza, per non indagare
sotto quella dolcezza o pazzia, per non cadere insieme, trascinati da
quelle perle di un rosario difettoso, pietre sul cammino da evitare. Non c'è bellezza per voi, per questo dobbiamo amarvi di più, cantarvi di più. Voi che venite dietro, che siete in ritardo, che non riuscite a
spiegare quello che dentro avete. Voi, che portate voi stessi come un
peso per tutta la vita, e chi passa vi sfiora e non vi vede, anzi vi
vede benissimo ma vi rende trasparenti. Non sanno cosa si perdono:
l'umanità non sta nei vincenti, sta nella fatica di un ascolto,
nella miseria di un disagio., nel candore inguaribile. Sta nella
distanza piccola e incolmabile. Nello scarto sinuoso che come la
risacca avanza e torna indietro e a volte ti lambisce e quando si
ritira lascia una cicatrice. Sta nei perdenti, in quella dignità del
soffrire quasi inconsapevole che hanno i gatti e i poeti. Non parlo
dei noiosi, delle vittime per missione, degli ipocriti. Parlo degli
sbagliati, coi laghi dentro agli occhi, che ti guardano e ti
raggelano, ti fanno venire voglia di scappare via ma tu se sei un
uomo rimani, caschi dentro quei laghi, ci vedi il tuo profilo e non
hai più paura.
Il pezzo è splendido, non prosa ma poesia. Ora, sono io che sono monomaniacale - e che mi prenderò l' insulto più infamante : "sorcino"! - o qui Zero, fin dal titolo, c' entra qualcosa ?
RispondiEliminaNon c'entra assolutamente niente, il titolo riprende una frase particolarmente significativa nel testo. Speriamo che il Padreterno, oltre a chiedere il bis, non debba versare l'affitto a chi canta "Il Cielo".
RispondiEliminaIntanto ieri a Sanremo omaggio ai cantautori, tra cui non c'erano né Battisti né Zero: Oh, finalmente, torniamo ad una cultura sana democratica e antifascista, come 40 anni fa!
RispondiEliminaVero è, anche se con certe commemorazioni da vivi c'è da toccarsi
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