Quante
storie di abbandono, quanti occhi che guardano il vuoto e gli occhi
nel vuoto sono tutti uguali siano di un cane, un rinoceronte, un
uomo, un albero. E vorresti, vorresti tutto riparare, tutto
raccontare, perché le cose cambiassero, perché si sapessero. Ma non
cambiano. Saperle non le cambia, e non cambia scrivere, è solo un
atto egoistico, un lacrimare parole che mette in pace l'anima. Ma io
vorrei solo sciogliere lo sgomento che sento, urlare la tenerezza che
ormai non mi lascia più, che non riesco a camuffare, non mi vergogno
di subire. Vorrei abbracciare ogni dolore se solo bastasse a
sconfiggerlo, a torcerlo in un sorriso. Guardo gli occhi che mi
guardano, guardano me anche se sono ciechi, guardano me e mi sento
misero di tutto quello che ho fatto e non ho fatto, di ogni mio
scatto d'orgoglio, di furia, di viltà, del mio non volere, del mio
non potere. Solo tenerezza vorrei conservare e spargerla sul mondo e
di quella contagiare tutti, specie chi non la prova, non la conosce,
non la sospetta. O ne ha paura. Ogni sofferenza penetra e mi ammala e
mi fa vivere e mi dispera, ogni dolore non ha scampo, non ha via
d'uscita, è una palla in buca, è l'urlo di un muto. Senza parole
resto, pianta davanti al dolore, e con le parole lo vorrei spiegare,
lo vorrei annientare e poi guarire, io che non ho altri mezzi, io che
altro non so fare. Ma non posso far niente, solo affacciarmi sul
davanzale di un mondo che non sembra conoscere altro, un mondo di
pozzanghere che mani pietose asciugano sapendo bene che sono
pozzanghere nell'oceano, che siamo naufraghi d'un mare bianco e
spaventato, implacabile e ingiusto. Feriti. Inteneriti e arresi.
Alluvionati di tenerezza sconvolta. Stanchi di vivere e non vivere,
siamo noi quel mare, noi che lo arginiamo mentre lo sversiamo, noi
che alimentiamo pretesti per i nostri atti d'amore, figli degeneri di
un eroismo spicciolo, portatori di croci che ci scagliamo addosso.
Commenti
Posta un commento