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LA TRAGEDIA DI UN AZZARDO


Repetita juvant. Ripropongo questo pezzo, pubblicato poche settimane fa: all'inizio del 2014, pare già vecchio ovvero più attuale che mai, ma per difetto: Letta, infatti, ha ancora aumentato le forme di prelievo dirette e indirette, l'energia costa di più, percorrere il Paese costa di più, merci e materie prime sono più care. La burocrazia è scesa a parole, a promesse ma nel concreto è ancora cresciuta. Oggi come ieri, più di ieri (ma meno di domani), creare lavoro in Italia è un errore imperdonabile, che porta al suicidio. Il Paese non è più ferito, è morto, non solo clinicamente. E' deceduto, andato, e i morti non resuscitano: si possono espiantare e donare gli organi, ma questo Paese, che negli ultimi 30 anni le ha sbagliate tutte e non ha avuto alcun rispetto di sè, non ha più niente che funzioni, niente da potere trasmettere: non energia, non artigianato, non idee, non cultura, non arte, non memoria. Ha solo i suoi buchi, i fallimenti, le truffe, i musei chiusi, i blocchi stradali, le tariffe oscene, i servizi inesistenti, le ritorsioni da malavita dello Stato, e una sconfinata provincia, da nord a sud, rassegnata, chiusa, ostile, vuota, immobile. Il Paese è morto. Esperienze come quella qui sotto sono innumerevoli. Ciascuna si conclude con un suicidio o, nei casi più fortunati, con la consapevolezza che tutto è inutile, una sfiducia matura verso uno Stato criminoso, una rabbia che non passa, non si scioglie, resta tatuaggio nell'anima. 

Viene a trovarmi un caro amico, sono anni che non ci vediamo e dal suo racconto capisco perché. Si era buttato in un azzardo, aprire un locale in tempi di Monti, di crisi ruggente, di impiccati. Non l'avesse mai fatto. Armato di buona fede degna di miglior causa, si è infilato nel suo personale incubo. Le centomila incombenze burocratiche, ciascuna salatissima, perché è così che lo Stato si mantiene, derubando i cittadini coi pretesti più fantasiosi. Le mafie dei corsi, dal pronto soccorso alla sicurezza. La processione degli ispettori che chiedono la tangente. Il personale che fa quello che vuole e al minimo rimbrotto minaccia vertenze, azioni sindacali, ritorsioni. L'affitto da usuraio, mentre il padrone dello stabile nel contempo gli rubava la corrente, allacciata abusivamente ad altre proprietà confinanti. E infine la gente, la cara amata gente, arrogante, violenta, irragionevole. Diciotto mesi ha resistito questo mio povero amico, e alla fine “tutto quello che volevo, era un frontale così non ci pensavo più”. Si sta ancora leccando le ferite, ma il suo carattere, buono, mite, è fatto anche di talento di orgoglio e ne verrà fuori; ha una risorsa, la musica, e quella lo salverà. Ma le cicatrici di un'esperienza, quelle non guariranno e lo sa. “Io nutrivo convinzioni progressiste, ottimiste; ho capito che per lo Stato chi intraprende è prima un ladro e poi un pollo da spennare. Ce li hai tutti contro, e non hai mezzi per difenderti”. La magistratura non sente, le forze dell'ordine, a chiamarle, si mettono subito d'accordo con chi lo taglieggiava. Incubi fatti di cliché, di luoghi comuni che però, a viverli tatuati sulla pelle, diventano incubi ancora più fondi. Aveva anche dato fiducia ad un cuoco preso, diciamo, tra le minoranze, di quelle che sui giornali si leggono come discriminate, sfruttate, non valorizzate: gli avvelenava la gente, gli ha perfino truccato un assegno. Quando il mio amico se n'è accorto, quello gli ha sibilato: cazzi tuoi, a me nessuno mi tocca. E aveva ragione, lo Stato rispetta il delinquente, il pregiudicato ma chi riga dritto, chi crea lavoro, lo travolge; se poi si è permesso pure di studiare, lo Stato farabutto diventa moralista: proprio tu, un laureato, non puoi abbassarti a farti giustizia da solo. Certo, ma se tu Stato non fai giustizia al posto mio, cosa mi resta? Ed è precisamente per questo che la mafia prospera, non è vero che la mafia alligna dove non c'è lo Stato, è proprio dove sta lo Stato che trova terreno fertile. Il mio amico oggi è, anche fisicamente, un uomo diverso: sorride poco, la sua bocca ha preso una piega amara che non ricordavo, le sue parole si sono fatte aspre e, a tratti, ancora sgomente. Dopo un anno, lo choc non lo abbandona. Gli ho fatto notare, essendoci passato per parte di padre, che comunque da domani sarà una persona segnata ma più forte, più esperta, più attrezzata. Questo lui lo sa, ma non s'azzarderà più a mettere su qualcosa in Italia, né a dar lavoro a nessuno, né, tantomeno, a fidarsi neppure del Padreterno. Non sono solo i cervelli che partono, la tragedia. Sono anche quelli che restano, le volontà fiaccate, la consapevolezza che questo Paese, questo Stato sono nemici che hanno ogni forza, che ti dicono: la tua parola contro la mia, ma la tua vale niente, la mia può tutto.

Commenti

  1. Solo per fare una riflessione storica e un paragone con i ns tempi...

    [...] Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combattere questo potere ormai marcio continuare la lotta. [...] È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l'ha data alla Resistenza nel '45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano. In questi giorni hanno ucciso con un colpo di pistola un ragazzo, come se niente fosse, aveva il torto di aver voluto una casa dove abitare con la sua famiglia. Questo è successo a Roma, dove i quartieri dei baraccati costruiti coi cartoni e vecchie latte arrugginite stridono in contrasto alle sfarzose residenze dell'EUR. Non parliamo poi della disoccupazione e delle condizioni di vita delle masse operaie nelle grandi fabbriche della città. È questo il risultato della "ricostruzione", di tanti anni di lavoro dal '45 ad oggi? Sì è questo: sperpero, parassitismo, lusso sprecato da una parte e incertezze, sfruttamento e miseria dall'altra. [...] Oggi, in questa fase di crisi acuta occorre più che mai resistere. Le mie scelte rivoluzionarie dunque, rimangono immutate. [...] Margherita [...]. [3] »
    Margherita Cagol, laureata in sociologia, co-fondatrice delle Brigate Rosse, moglie di Renato Curcio, uccisa dai CC in un conflitto a fuoco nel 1975

    Sono parole che allora non avevano aderenza con la realtà, frutto dell'indottrinamento ideologico di tanti giovani formatisi sui testi di autori marxisti, ma che oggi sarebbero condivise da molti e troverebbero riscontro in quello che accade nel mondo del lavoro, dove ci sono meno fabbriche ma molti più sfruttati senza prospettive rispetto ad allora e dove lo stato non usa le armi ma opprime con le tasse e privilegia pochi eletti con le caste.

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. Erano stronzate allora e lo restano oggi. La Cagol era una povera esaltata, non sapeva niente e non è stata "uccisa dai CC in un conflitto a fuoco" ma caduta mentre tirava loro addosso bombe a mano.

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