Non l'avrei mai creduto
ma ho nostalgia di un lungo viaggio in autostrada, di quelli che non
finiscono mai e la strada è un'arida processione di stazioni di
servizio e pianure brumose che fumano gelo mentre te ne guidi al
caldo, la musica di Chet Baker a cullarti e viene sera,
inesorabilmente pigramente e sembra tutta una pista d'aeroporto e si mette a piovere e non vedi più niente e sei l'uomo più dimenticato al mondo e sei ancora dove sei e il culo ti fa male
e pensi di non farcela. Non ci facevo caso, ma ho perso il conto
dall'ultimo viaggio così. Adesso se capita prendo il treno, con
tutti i suoi ritardi, le coincidenze saltate, ma tirarla lunga al
volante mi stanca sempre di più. Eppure a volte si ha bisogno di
restar chiusi con se stessi in un abitacolo, niente e nessuno e tutto
il mondo fuori. C'è stato un periodo, intorno ai trenta, che per
varie ragioni ero sempre sull'A14, conoscevo le uscite a memoria e
perfino dove conveniva fermarsi a pisciare, fare benzina e mangiare
qualcosa e dove invece era meglio tirar dritto, anche per i
trafficanti che bivaccavano. Malavita da Polstrada. Un'altra fiammata
l'ho avuto a metà anni Duemila, quando giravo per gli spettacoli con
Benvegnù e ciascuno arrivava a destinazione per conto suo. Solo una
volta, un viaggio omerico da casa mia fino in Calabria, dieci, undici
ore e poi altre tre di palco. Adesso saranno due anni, forse quattro,
che non giro più. Ne avevo la nausea, ma, come per tutto nella vita,
finisci per avere la nausea opposta, il richiamo di qualche foresta
ti brucia dentro e tu hai solo voglia di prendere e partire. Di
guidare. Di ascoltare la musica di sempre mentre fuori scorre la
nebbia di sempre, un altro inverno che ti logora. E allora pensi, e
non ti serve pensare, non sposta le cose, non arriva a una soluzione
ma lo fai, quasi con rabbia: ti fa sentire uomo, ti fa sentire adulto
anche se ormai la stagione della maturità è perfino passata. Allora
ti menti che ti fa sentire giovane, come quando azzannavi
l'autostrada sui 200 all'ora – non ci credo adesso, se me lo
racconto – e arrivavi a Milano in meno di tre ore. A un certo punto
cominciai ad avere paura di me stesso, presi a rallentare; poi mi
fermai completamente. Adesso sono qui, in attesa di una qualsiasi
chiamata, giusto un pretesto per prendere e partire, solo per
stancarmi a morte, per ripetere a me stesso che è l'ultima volta,
non ho più la forza, chi me lo fa fare?
"Fare un lungo viaggio da solo in macchina é anche fare un viaggio con se stessi". (Anonimo)
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