Non dormo e ascolto
bussare sul vetro: è la pioggia, insistente come una minaccia: la
morte è appena un centimetro dietro quella finestra che, in estate,
non posso lasciar chiusa. Mi sorprendo a constatare come sbalza la
vita nel giro di pochi mesi: adesso sono due giorni che sento sulla
pelle in bruciore dell'inverno e non mi sono abituato ancora, non mi
piace l'inverno, è fatto di buio è di vuoto, di pesantezza addosso,
di invisibile fatica, l'inverno è attesa che passi. Non ha neppure
più la gioia residua che ricordavo da bambino, per esempio rientrare
ritrovando il calore della casa: ora accendere i riscaldamenti è un
trauma, ce la caviamo con le stufette alogene (“Che è???”, mi ha
chiesto perplessa la commessa dell'emporio dove ne cercavo una
nuova). E Natale non esiste più, Natale è un simulacro, un morto
che avanza e nessuno lo vede. Dove sto metà negozi sono spenti,
l'altra metà non osa celebrarlo, le vetrine sono povere, patetiche.
Per i viali non luci. Per le strade nessuno. Cupe macchine sperse. Quali regali, quali
cenoni? Ti senti in colpa anche a scambiare un pacchettino pensando a
quelli che non reggono e si impiccano, ma i ricchi non si sentono mai
in colpa. Ti senti in colpa perfino a non averli raggiunti, quelli
che si ammazzano, ad essere ancora vivo, chissà per quanto però.
Non ti lascia mai questo sfinimento nell'anima, questo tarlo che
rosicchia ogni momento, ogni sorriso, e vorresti essere più buono, e
vorresti essere d'aiuto, ma non servi a nessuno e non serve essere
buono. Non in questo inverno spesso come la notte che cala di colpo,
una mannaia sul giorno. L'inverno in tempi di crisi è una Siberia, e
io non ricordo neppure un minuto di non crisi nei miei 49 inverni ma
non erano come questo, è diverso questo, qualcosa di sconcertante. E
peggiora ogni anno, peggiora a ogni annuncio di ripresa. Sono in fila
al supermercato dei poveri, dove oramai vanno tutti. Sono in fila,
dieci minuti mi bastano per guardare gli occhi di quelli davanti e
dietro di me e capire: non c'è luce in nessuno sguardo, tutti
puntano avanti o a terra, ma pur di non incrociarsi. Siamo come
ladri, con la vergogna dei ladri o peggio quella delle vittime,
gettiamo le cose sul nastro che le trasporta e tutto pare così
meccanico, così disperato. Il cassiere chiede a tutti gli spiccioli
del resto per la fatica di raccattarlo lui, e tutti si contorcono pur
di obbedire; perdiamo tempo. Poi subito fuori e l'aria sfregia le
gote, l'aria dell'inverno senza calore che ti aspetta e ancora deve
cominciare. Tra un mese diremo, hai visto, è già passato Natale e
non ce ne siamo accorti. Poi guardando il cielo qualcuno mormorerà:
però, si son già allungate le giornate. Davanti a noi la neve,
fredda come non mai, e notti insonni e alzarsi per bere o pisciare
rabbrividendo, pensando che non è vita questo sopravvivere o
sottovivere nell'inverno senza fine, nell'attesa senza tempo, senza
scopo, senza orizzonte. Senza più illusioni se non quella
d'esistere.
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