Debbo
incontrare un amico, per questioni di lavoro, in un orario
stravagante, le 13,30. Così inforco la Vespa e parto, destinazione
Civitanova. Arrivo nel pieno del traffico scolastico, lunghe file di
pullman con sopra ragazzini intasano il viale che porta in centro e
mi sorprendo a fare slalom respirando i gas di scarico. Trentacinque
anni indietro, una vita non è mai passata. Avverto gli stessi
riflessi, le stesse mosse del corpo sullo scooter, c'è una memoria
muscolare che non sbiadisce, sonnecchia per mazzi di calendari ma al
momento buono torna fuori, ottima, intatta. È piacevole e me ne
frego della polvere che ingurgito, è piacevole sfrecciare a passo
d'uomo nel sole, scattare e poi frenare, fuggire via sulle ali di una
purissima ingenuità, è troppo bello risentirsi ragazzo e pazienza
se divento patetico. Io non amo Proust, mi sta antipatico quel suo
aver voluto dirci tutto dei nostri mari di dentro, quell'averci
scippato per sempre la genuinità delle nostre sensazioni, replicando
così maniacalmente le sue. Per cui non leggo Proust, non lo leggo,
preferisco riscoprirmi e raccontarmi senza additivi, senza dover
pensare “questo l'ha già detto un altro, è già successo a lui,
succede a tutti”. Sì, capita a tutti ma io sono io, la nostalgia è
una ma la polvere è diversa per ciascuno, i meccanismi che innesca
sono miliardi. A un certo momento non so più dove mi trovo, la mente
ha un cortocircuito, supero un bus e giurerei d'aver guardato con
ansia il mio negozio dei dischi di piazza Bottini, di fronte alla
stazione dei treni di Lambrate, davanti al capolinea dei tram, l'unico che si chiamava senza nome, una semplice insegna pleonastica, per
vedere se era uscito l'album che aspetto da settimane. La foto
grande, trentatré giri.
Commenti
Posta un commento