Perché
era così bello correre fuori incontro al sole di settembre a bordo
di un motorino o un paio di scarpe da tennis e inebriarsi di quella
luce, di quella musica, di quell'aria e illudersi che sarebbe durato
per sempre? Perché ci si sentiva così leggeri, leggeri, anche i
pensieri cupi erano lievi, anche le nostre sconfitte, in fondo, che
si potevano sempre aggiustare domani, ci si poteva provare, ci si
poteva illudere? Perché c'era meno tempo dentro di noi, sulle nostre
spalle? Perché non dipendeva da noi il nostro destino? Perché
eravamo immortali? Perché non c'era l'IMU? non c'era questo sole,
questa luce accesa? Ma la luce era lì, era quella di adesso, solo
che non entra più nelle feritoie dell'anima, non penetra più, non
asciuga il dolore. E tutto è più noioso, così noioso: quello che
sappiamo, quello che leggiamo, quello che subiamo. Quello che siamo.
C'era polvere che si alzava al nostro passaggio ed era pulviscolo
tiepido, sapeva di un buon sapore di smog, che non ci avrebbe ucciso;
non come questi atomi di memoria immemore, questi lampi di uno
schermo, queste scemenze che c'intossicano: due giornalisti, lei
tiene al guinzaglio lui che fa una faccia che nessun cane farebbe
mai. Perché siamo cresciuti così? Avevamo la luce, avevamo il sole,
avevamo settembre. E il motorino e le scarpe da tennis. Avevamo
tramonti e canzoni. Avevamo l'eternità. L'abbiamo sprecata per
niente, condannandoci a un'infelicità feroce e stupida e cattiva.
Avevamo tutto. Non abbiamo niente, non siamo più niente, catene di
noi stessi, catene l'uno all'altro. Eravamo risate, e lacrime e grida
di battaglia. Siamo solo urla, che si disperdono nel vuoto, che
nessuno ascolta in un concerto di stridori. Orrendi gabbiani sporchi,
con il cuore pieno di rabbia o di pena, vergognosi di noi, delle ali
vuote, non sappiamo volare, sempre in lotta per ciò che non
sappiamo, razzolando nella pattumiera dei giorni, nei resti del
risentimento e il sole, il sole non ci accende più, non è il nostro
sfondo naturale, non ci serve a niente. Siamo un chiassoso silenzio
di pollaio, inutile, spaventoso. Siamo il contrario della gioia e
dell'esistere, una corsa che non parte, non infila un viale d'alberi,
non arriva a un settembre, non cerca nessun sole. Noi siamo la
sconfitta senza nessuna battaglia, senza niente da perdere e da
vincere. Senza armatura e senza missione. Siamo gli sconfitti,
specchiati in ciò che abbiamo ucciso.
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