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BICI

Ho preso la bicicletta, c'era il sole e scintillava questa bici cromata con la scritta “Razzo”, una delle poche sorprese che dedicai a mio padre, ci andava dappertutto e a tutti la mostrava “Questa me l'ha regalata mio figlio”. Dopo lui è morto e la bici addormentata aspettandolo in casa di mia madre. Vite che non mi azzardavo, sempre una scusa per rinviare ma oggi c'era un sole. Salendoci per poco non mi cado, avevo qualche timore delle macchine ho messo nelle orecchie vecchi dischi, quelli di un allora mai passato, per lubrificare la malinconia. E son partito, traballando un po' ed ogni strada lo volessi o meno mi riportava ai posti di mio padre. Il ristorante all'aperto delle omeriche mangiate di pesce da anni giardino d'erbacce; lo spiazzo delle mie prime foto, sul triciclo, fra i resti di un albergo ricostruito più: oramai c'è un parcheggio; i bagni Paola, teatro d'imberbi tuffi e poi ci portavano la pizza a quadratini appena sfornata dal chiosco di fronte che mandava un profumo ad insabbiarsi. Tu non devi smettere di giocare agl'indiani... Quand'è che ho smesso per diventare uomo schiacciato dai ricordi, da un passato mai passato, dalla vita? Chi lo sa forse da subito. Da sempre. Continuo, più sicuro adesso, e tutto mi par lontano mentre l'attraverso. Come sono cambiato e tu, non sembri tu: che ne è, di noi?

Faccio qualche chilometro poi mi fermo tiro fuori il blocchetto, scarabocchio qualcosa e via riparto. Prenditi quello che rimane... Cosa rimane? Forse davvero cambia tutto per non cambiare niente, walkman o mp3 che sia lo stordimento è lo stesso, trasognato pedalo nella luce: solo il futuro è più corto, disperato ed esile. Non più tanta voglia di sognare, la memoria prende il sopravvento sull'immaginazione, Fantasia, mia vecchia amica è a marcia indietro, riscrive con la penna del rimpianto cose già vissute o avute mai. Anch'io, ho i limiti miei...

E l'ho sempre saputo, ma non credevo questa vita fosse solo di limiti. E di star solo, pedalare un po' spompo solo per il gusto di poterlo ancora fare, senza un altrove dove andare. E le gambe, non sono più quelle o forse è la mente. O forse walkman o mp3 è lo stesso di prima, di sempre, a questa mia fatica sono abituato, con la camicia di forza sull'anima son nato. Ma almeno si potevano sbirciare le fanciulle senza pudore. E poi mi manca la prepotenza di mio padre, ingombrante, soffocante, ma contagiosa. Piena di vita, Bella la vita, dicevi tu, e t'ha imbrogliato, e t'ha fottuto, proprio tu...

Quella riserva io non la conosco, quell'incoscienza di ridere, di non fermarsi, non la sospetto invano: sono pieno e vuoto. Penso d'avere avuto troppo di meno e troppo di più dei miei amici. Mi pesa. Questa facciata, nasconde una vita... Ma quale vita, quale? Questo lungomare ha già troppi anni miei, troppe stagioni l'hanno calpestato, la sua solitudine non si è mai placata, è la mia, quella dei miei occhi. Adesso sono al porto, il posto che a mio padre piaceva di più anche se allora era appena un molo. Ma lo stesso silenzio inerte, di chiesa, tra i pescherecci dai nomi mistici, che oscillano appena, che portano sulla ruggine i segreti del mare. Non viene mai nessuno qui. E mi sento vecchio e bambino insieme, cambiato e immutabile, mi sento esistere e non esserci, ritrovarmi e perdermi, mi sento dentro un allegro dolore. Oltre le lacrime trovarsi è possibile, convinciti anche tu, ecco, questa è una cosa che ho perso completamente, più nessuna eco di fede e ne scorgo ogni ingiuria, ne avverto ogni vuoto, per me l'aldilà ha l'improbabile sapor salsedine di questo porto morto il cui specchio d'acqua non m'illumina. Forse anche di là c'è un disco bianco in una cornice rossa sopra una scritta: “Eccetto autorizzati”. Ma che uomo sei, se non hai il cielo?... Non lo so, un uomo più disperato ma direi più onesto, più capace di vedere le cose che ci sono, per quelle che sono. Certamente mi manca un figlio a cui lasciare un giorno la bici. Non abituarti mai al dolore... Una parola, una bella frase, ma Accade esattamente il contrario, se non sai abituarti al dolore non vai avanti, non pedali più.

Così pedalo, non ho mai fatto niente e pedalo, mai scritto niente, Oggi è il primo giorno che sono nato e come posso sentirmi tanto sfinito? Fermare il tempo non so io, neppure ci provo più. È lui a fermare noi.

È bellissima quest'ora del sole, questa luce così tersa che non servono occhiali, un velo scintillante, l'aria lenzuolo di seta che rimane sospeso. Presto guarderò fuori e Questo inverno non finisce mai... Un altro. Un altro inverno di serra! Penserò una volta di più che non voglio Morire qui, morire d'inverno, voglio andare a stare dove l'inverno non arriva e c'è sempre questo sole di sera, questa luce accesa, voglio fermarmi lì, sparire da vivo, non un cadavere che si arrende. Io sono mediterraneo e il mare ce l'ho in cuore e culla i miei errori sotto la pelle scura. Voglio raggiungermi dove si può andare in bicicletta ogni giorno, tutto l'anno, e sentire un sudore che fa bene, che è salute. Voglio ammalarmi di tempo e di tempo guarire, da uomo asciutto, da vecchio asciutto, cotto, fieramente abbrustolito, trasuda salmastro e conosce l'angoscia, parla con la burrasca, sa tenersi compagnia e non conta i tatuaggi che il coraggio ha dipinto.

Perché volo via mentre pedalo, perché non mi rassegno ancora al mio destino? Dove dovrebbe portarmi questa bicicletta ritornata a me? D'improvviso scolora, percepisco l'ineffabile, l'aria si veste da sera e fa più fresco. È il momento stupendo che non è più giorno e non è notte, l'incanto d'un istante sospeso nel tramonto. È ora di rientrare, andrei avanti ma ho finito il taccuino. Oggi sono andato in bici perché volevo soffrire.

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