Me
n'ero dimenticato, forse per un po' d'imbarazzo, fino all'ultima
puntata di Montalbano. Camilleri, che nel frattempo ha commesso il
peggior errore che possa fare uno scrittore, diventare militante, far
parlare i suoi personaggi con la voce del pregiudizio e
dell'ideologia, a un certo punto infila di straforo la frase infelice
di un ministro dell'epoca, “con la mafia bisogna convivere”. Era
l'ingegnere Lunardi, quello delle gallerie. Infelice, quella frase,
lo fu di sicuro. Ma Machiavelli l'avrebbe disprezzata, forse, più
per l'intempestività. Fingemmo tutti, all'epoca, di prenderla per
quella che non era, un invito anziché la rassegnazione. Fingemmo di
credere che Lunardi parlasse per conto di Berlusconi, il mafioso, che
con la mafia andava a nozze. Io stesso interpellai il giudice
Caponnetto, che naturalmente se ne dolse eccetera. Additammo, tutti,
lo sgherro della destra infame, che voleva seppellire lo Stato sotto
la resa malavitosa. Tutte balle. Preciso: un ministro, specie in
Italia, dovrebbe risparmiarsi certe uscite. Ma io, all'epoca in cui
bazzicavo l'antimafia, sentivo continue sparate sulla mafia da
sconfiggere, che servivano solo a soddisfare la platea di bocca
buona: dopodiché, tutti al ristorante. Forse sarebbe stato più
saggio tacere, o almeno uscirsene con una retorica calibrata, del
tipo “Faremo di tutto per combattere la piovra”. Roba che serve a
niente ma lascia tutti tranquilli, a coltivarsi i propri conflitti
d'interesse e inciuci mafiosi. Invece, tutti non aspettavamo altro
che di stracciarci le vesti.
Avevo
rimosso, come sempre quando un tarlo ti rosicchia la coscienza di
legno. Poi, l'altra sera, è uscita ancora quella frase, con tutto il
ricamo che naturalmente ne faceva Montalbano. Poi, la mattina dopo,
per crudeltà del destino, ero fermo al semaforo con la Vespa e ho
visto un conducente di autobus avanzare in scioltezza mentre
telefonava. “Tutti maghi, noi italiani”, ho borbottato tra me. Mi
son tornate in mente le mille volte che ho sentito giurare tolleranza
zero per chi guidava telefonando (figuriamoci i conducenti di mezzi
pubblici). Mi son tornate in mente le decine di volte che io stesso
mi scagliavo contro il malvezzo, con articoli e libri, facendo
puntualmente la figura dell'ossesso, del pazzo, rimproverato perfino
da preclari tutori della morale e della regola. Mi son tornate in
mente le migliaia di volte in cui ho assistito a gente che
sguidazzava facendo abracadabra sui tasti, tenendo prolusioni al
telefono, perfino mangiando (me compreso). Che cosa è mai cambiato?
Tutti maghi, noi italiani.
E
il virtuosismo teleguidato dell'autista, cos'era? Non era, nel suo
genere, la mafia, sociale, condivisa, di chi delle regole, delle
norme se ne catafotte? Quando un pirata stermina una famiglia perché
sta telefonando, sotto effetto o altrimenti affaccendato al volante,
non è una strage dolosa come quelle di mafia? E gli 87 dipendenti
Alitalia arrestati in un colpo solo perché si fottevano i bagagli
dei passeggeri, per l'ennesima volta e già si sa che è l'ennesimo
scandalo che finirà in nulla?
Mi
son tornate alla mente le parole di Lunardi, finito in croce, e ho
sentito frusciare più forte la mia coda di paglia. Tutti maghi, noi
italiani. Forse l'ingegnere della gallerie avrebbe dovuto dire: “Con
noi stessi bisogna convivere”. Oggi gli chiederei scusa, ma è
tardi.
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