Capitai un giugno di
quattro o cinque anni fa a Pescara, dove facevano un corso di
giornalismo diretto a laureati o laureandi, qualcosa di simile ad un
master. Avevano coinvolto l'allora direttore del Mucchio, che a sua
volta mi aveva invitato. La cosa piacque, e mi chiamarono l'anno dopo
per un paio di giorni di lezioni tutte mie. Non furono lezioni, fu, e
lo scrivo con tutta la gioia che posso, spettacolo: improvvisavo,
divagavo, leggevo, m'incazzavo, inveivo, mi commuovevo, rivelavo, provocavo, così otto ore al giorno filate per due giorni: questo è fare
lezione per quanto mi riguarda: non impartire direttive. Alla fine tiro su la rete e dentro
ci sono tutti gli spunti sparpagliati apparentemente a casaccio. E il delirio trova un senso. Non facile, ma efficace. Fu
uno spettacolo, tenuto tutti insieme, i corsisti con me. Li lasciavo un po'
stravolti, ma poi tornando a casa, la sera, erano già lì, nel
computer, a scrivermi. Buon segno. L'anno seguente andò anche
meglio e quelle non-lezioni le ricorderò come una delle cose
migliori della mia non-carriera, peccato non averle filmate.
Giorni a trecento all'ora, e sempre loro, i ragazzi, a scrivermi.
Sono rimasto amico di tanti, ci sentiamo ancora, ci scriviamo sempre.
Non mi sono risparmiato in niente e non ho nascosto niente di me, a
partire dai difetti e dalle fragilità. Adesso, ho una feroce
nostalgia. Doppia, perché quegli incontri cascavano regolarmente col
primo calore, mezzo giugno o fine maggio: io la mattina alle sette
montavo in Vespa e mi facevo tutta la Statale fino ad Alba Adriatica,
mentre il sole saliva dal mare a fianco a me disegnando mattinate
strepitose. La prima volta, lo ammetto, persi tempo, poi mi persi a
Pescara e al parcheggio della stazione mandarono a raccattarmi in motorino Serena, che non lo dava a vedere ma
stava incazzata: più di lei, i corsisti che m'aspettavano. Ma io odio
l'autostrada, specie in Vespa, e mi piace invece infilarmi con lei
nella vita, osservare il profumo dei colori delle bancarelle di
frutta, il sapore di smog dalle corriere, dagli scooter, lambire i
lungomare, e c'è un tratto, all'altezza di San Benedetto, che è la
primavera ed è l'estate, con le sue piante altissime, cariche di
foglie che ingentiliscono l'arida statale dei camion, del traffico
impestato. A un certo punto spunta una scuola enorme, massiccia,
fascista ed io m'immagino dentro con gli altri bambini, avvolto nel
mio grembiulino. Fantasticavo per tutto il viaggio e, quando
arrivavo, trovando i corsisti seduti in terra davanti alla scuola, scettici,
curiosi, indagatori, avevo gli occhi ancora pieni di quei sogni.
Sogni in Vespa. E mi lanciavo in quegli incontri, perché l'animo s'era allargato ed io,
per quell'oretta di viaggio, avevo trovato la pace. Dall'anno scorso,
i corsi non si son fatti più: spending review, crisi, grazie Monti,
le iscrizioni pare costassero troppo, quasi nessuno osava. Fine di una bella favola. A me è
rimasto un buco nel cuore, ed era l'incontro ed era ritrovarmeli nel
computer ed era il viaggio in Vespa, la mattina presto, col mondo
che si schiudeva sotto il sole già alto nel suo saluto, l'abbagliante promessa di un'estate diversa.
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