Il negozio di dischi dove
andavo a comperare i dischi e che aveva una insegna pleonastica:
DISCHI. Quello di modellistica, stessa piazza Bottini della stazione
dei treni, del metrò e dei tram, dove mi procuravo le mie dosi di
squadre del Subbuteo e una volta ci arrivai nel pieno di una nebbia
ghiacciata, densa come un budino di vapore e non lo vedevo, non
riuscivo a distinguere la porta. La trafila di botteghe di via
Porpora dove col mio buon amico Tony passavamo il pomeriggio a
prendere in giro il lattaio, che assomigliava al jazzista Lino
Patruno, l'ortolano che pareva Nanni Svampa, la di lui moglie che per
me era Lucio Battisti, il cartolaio misogino con l'ictus che sbavava,
il Carlino, e via via tutti gli altri, la tabaccaia che biascicava
perennemente e sbagliava la marca di sigarette, “Lei ha detto...
Muratti??”, il ferramenta che aveva un figlio fatto di chiodi, la
rosticceria calda, piena di colori, dei due fratelli scapoli
conosciuti come “le sorelle Bandiera” e la mamma, totemica,
immobile sulla seggiolona montata sul banchetto che prendeva le
ordinazioni con una calligrafia gigantesca, un cliente un bloc notes,
il droghiere dove c'era un buon profumo di caffè. L'altro profumo di
caffè, del bar Franco d'angolo a piazza Gobetti, profumo di caffè,
di flipper di cui ero un maestro e di vecchie puttane materne che
ascoltavano in ciabatte gli sfoghi dei falliti, i pensionati, e poi a
una cert'ora si levavano su, lente e pesanti come camion, e andavano
“a lavorare” alla pensione Cremona che era proprio lì di fronte.
Il barbiere Tonino, l'unico napoletano che tifava Milan, aveva
comprato il completino “da Gianni Rivera” al figlio e una volta
che quello s'era messo a giocare con un pallone nerazzurro, lui
l'aveva picchiato in mezzo a piazza Gobetti dalle panchine scrostate
e le piante brulle e l'odore di bacche marce, il nostro San Siro
dalle partitelle epiche. La moltitudine della domenica sera, rotolata
fuori dallo stadio, sparpagliata sui tram, per i bar, per le strade,
per migliaia di vite ingrate, gli occhi ancora pieni della partita e
già in gola il soffocamento del lunedì che sale dall'imbrunire
atroce, suburbano, disperato. Un castello rosso sangue a guisa di
cinema, d'angolo in via Porpora dove mio padre mi portava per mano,
che non mi perdessi nell'inverno, a vedere certi film che piacevano a
lui e che ora non ricordo. La pizzeria in fondo a via Teodosio, dove
la domenica, che festa!, andavamo lui ed io a prendere la pizza, la
facevano alta, spessa quattro dita e d'entro c'era un arredamento
anni Sessanta, tutto spigoli ed angoli e modernariato, una roba da
film, e ci son passato di recente, apposta per vedere, ed era tutto
uguale ancora dopo 45 anni. E i negozi, sempre in via Teodosio, i
bar, i panettieri, il fioraio sempre acceso, il benzinaio che era
amico di mio padre, la casa dove sono nato e che aveva una vecchia
portinaia che mi terrorizzava, va' a ricordare perché, la
lunghissima strada ombreggiata da meravigliose piante, le boutiques
dove non sarei mai entrato ma le sentivo mie lo stesso, erano
coreografia, quinta e platea del mio vivere nel quartiere. Altre
boutiques, quella in via Vallazze, dove mi tenevano ostaggio per
interi sabato pomeriggio, ma poi perché?, santo cielo, io preferivo
il negozio dei tamarri “International Shop” dove prendevo i jeans
rossi e gialli, e così ogni tanto evadevo da quel metroquadro di
“confezioni uomo donna” stipato di chiacchiere e m'incollavo al
negozio di giocattoli “Cenerentola” due vetrine più in là,
quella di mezzo era un'erboristeria da cui usciva un odore
penetrante, fortissimo, proustiano che non mi ha mai abbandonato. E
l'altra boutique ancora, da un'amica di famiglia in via Lanzone,
altri sabati maledetti di pettegolezzi, di noia atroce, di fumo di
sigarette e vestiti provati dai miei ed io li maledivo. I grandi
viali radiali che dal centro s'allungavano alle periferie,
traiettorie dritte, solcate dagli autobus, che solo per un attimo
feci in tempo a girare al volante. Le strade d'intorno a casa mia,
così eccitanti di notte quando si partiva per il mare, così più
vuote di qualsiasi deserto, nemmeno un'ombra per terra, nei pomeriggi
delle domeniche d'agosto riarse di sole e d'attesa, appena tornati
dal mare. La tangenziale che avevo imparato a conoscere uscita per
uscita. A quella di Linate, l'aeroporto dove andavamo a vedere gli
aerei (mai a prenderli) e una sera che accompagnai mio padre a
prendere “dei giapponesi” rimasi esterrefatto perché con tutte
quelle lucette e quella frenesia di traffici e d'affari mi pareva
d'esser finito in un film americano. La Stazione Centrale dove andavo
a girare le cabine del telefono e a forza di pugni, di scrolloni ci
facevamo il gruzzoletto di gettoni da convertire in giornaletti o
cazzate del genere. Bisognava solo stare attenti ai barboni, che a
volte erano pericolosi, sentivano invaso il loro territorio. I ladri
invece ci lasciavano in pace, poi sapevamo riconoscerli e si girava
al largo. E tante stazioncine di paese, notturne, derelitte, lugubri
come canzoni di Tom Waits, biciclette guareschiane dimenticate
addosso a un muro e gerani sui davanzali di finestre ad arco, dove
non sarei mai sceso ma a forza di passarci in treno le conoscevo come
la mia anima. Sempre dal treno, la grande raffineria di Ancona, quel
meraviglioso inferno industriale, grovigli immani di tubi colossali,
e depositi e cisterne, fiamme che salivano in cielo, odore di
benzine, ogni volta che ci passo davanti faccio in modo di avere
nelle orecchie del buon post rock per dannarmi meglio. Il sapor di
fresco delle estati sudate a Miramare, piena di gelaterie, di
negozietti estroflessi come ernie, la camminata scandita da
bancarelle che emanavano stordente odor di gomma, di pinne, di
salvagenti, di jeans, di jekebox, di gelaterie, di piadine, di pizze,
di edicole dal forte sapor di buste “sorpresa” con dentro vecchi
fumetti, di sale giochi dai disegni trucidi come quelli dei luna park
ed era per quello che ci andavo, ci stavo le ore senza giocare a
niente, mi piaceva sentirmi a disagio, in vago pericolo ed era per le
stesse vibrazioni squallide che passavo e ripassavo davanti al cinema
a luci rosse, del quale non m'interessava l'interno ma la cornice, i
manifesti violenti, dai titoli impossibili, la maniglia d'ingresso
dal design che ricordava, pensa un po', quello della stanza da
dormire dei miei. E l'anno scorso sono tornato a Miramare e il cinema
porno è ancora lì, uguale a se stesso, forse l'ultimo rimasto, un
sogno sospeso nel tempo. E poi Fermo, vecchia coi muri dei vicoli che
trasudano zaffate di muffa, le sue salite e i suoi vicoli, torpidi e
cupi, i gatti eterni che si nascondono, il concerto sommesso del
bubbolar di piccioni, le desolatitudini e gl'incanti dei lampioni notturni, lo scampanare piovoso che
dal Duomo si spande per la valle e odora di sante messe, di neri
golfini di vecchie a sussurrar litanie sui banchi sagomati
dal fiammeggiare gotico d'un grappolo di candele. Porto San Giorgio
dai vezzosi villini liberty, come li chiamava il mio poeta Lugano
Bazzani, ed era impagabile scorrerli in bicicletta nelle notti
d'estate, e di fronte a casa di mia moglie la vecchia mescita
cadente, dall'insegna cancellata, che mi risuonava sempre dentro una
canzone dei Pearl Jam e adesso l'hanno tirata giù, che franava, e al
suo posto c'è un buco da riempire. Il profumo di una ragazza che un
giorno che non ricordo ho sfiorato e mai conosciuto, ma ce l'ho
dentro e non mi lascerà. Questo io posso darvi, cose che non ci sono
eppure voi le vedrete. Forse le vedrete, con i miei occhi lontani.
Proprio bello, mi pareva di esserci...
RispondiEliminac'ho vissuto anch'io, ( sono tuo coetaneo ) e , negli anni 70, Loreto : era una zona popolare molto vera e con un suo fascino commovente , espresso dai suoi abitanti e artigiani e negozianti.
RispondiEliminaora , e' una cloaca di sporcizia e prepotenza , che si certo, arricchira' , ma sino a oggi , non l'ho mica notata tanto 'sta ricchezza.
saro' io orbo.
Vp
Ascolti post rock Massimo??? Bellissimo scritto comunque..
RispondiEliminaMatteo
Ascolto di tutto e l'anno prossimo faccio un libro sui miei dischi della vita. Per la raffineria, il preferito è "Antennas..." dei Godspeed you black emperor" (l'esclamativo dove vuoi)
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