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UN ARTISTA PRIGIONIERO DI SE STESSO

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Ho visto che hai fatto un altro libro su Zero avevo quell'altro su tutte le canzoni ma questo di cosa parla? Non vorrei trovare un doppione
Enrico, Roma


È un ebook che parla dell'artista (e dell'uomo), mentre l'altro parlava delle canzoni. Che racconta come si passa da ragazzino davvero discriminato ad ingombrante presenza salvifica. Arriva all'uscita dell'ultimissimo album, non lesina le critiche e si permette pure di prevedere, irrispettosamente, cosa sarebbe successo. Debbo dire che mi pare d'averci preso: il disco nuovo, apprendiamo dalle cronache, è stato completamente suonato dal vivo, cosa mai successa con nessun altro album, in quanto sta vendendo pochissimo: cosa che tutti si spiegano meno chi l'ha fatto: l'errore, che sta nell'eccessiva autoreferenzialità e nella verbosità dei testi, viene diabolicamente perseverato in concerto, dove, a scorrere le cronache, sermoni, prediche e analisi politologiche si sprecano e allungano oltre il sopportabile una performance estenuante che finisce per durare tre ore e mezza. In realtà un album come l'ultimo schiera pochissimi pezzi forti, tre o quattro, il migliore dei quali tra l'altro postumo, ad opera di Giancarlo Bigazzi, e il resto è routine in tutti i sensi. E, pur ascoltandolo con tutta la buona volontà, finisce per indispettire: non si può parlare per un'ora intera esclusivamente di se stessi, perfino quando si ricordano gli amici scomparsi, c'è uno zerocentrismo che si sta dilatando a livelli preoccupanti. Il concerto evidentemente aumenta la dimensione spettacolare (l'ipersimbologia dei maxioggetti casalinghi, trovata già usata in altri tour; i ballerini pure, ma hanno rotto i coglioni). Ma nei contenuti amplifica quella tensione autocelebrativa, quel parlarsi addosso, quell'evocare il magico passato (teso evidentemente a surrogare un presente meno significativo), quella nostalgia testimoniata dall'ormai immancabile mostra dei costumi di scena. Sono almeno 20 anni che Zero amministra se stesso. Ma ha il pubblico più stupido del mondo, fatto di fanatici, di “sorci” (sic!); ha addomesticato una stampa a lungo ingiusta e cattiva nei suoi riguardi (e le rare voci scettiche vengono insultate sul web dai sorcini dell'amore eterno); ha un cerchio magico fatto di esecutori che tremano al suo passaggio. Insomma non trova un interlocutore. Così è inevitabile convincersi d'essere davvero una figura mitologica, metà pontefice metà supereroe Marvel (l'Uomo Zero). Questa è la fine di un artista e si può morire anche restando vivi benché imbalsamati in un museo da cui non si esce. A me pare di vedere esorcizzare certi conti, artistici, con se stessi accrescendo le dimensioni, concentrandosi sulla cornice, sulla confezione anziché sul contenuto. Non si prendono rischi, i brani sono innocui, la provocazione è sparita a qualsiasi livello, l'odore di sagrestia è asfissiante (anche nella vita privata?), la tensione esce a sprazzi e soltanto nell'eterna dialettica artista-pubblico (“Quando arrivo te ne accorgerai”). Certi testi si son fatti incredibilmente banali e tirati via, le esortazioni sono ossessive, non si reggono i cinquanta inviti in un solo disco a fidarsi di lui, che non tradisce, che non tradirebbe mai, lo sai: come se chi l'ascolta non l'avesse già avuta una mamma, e non gli bastasse e avanzasse. Zero come un Autocristo. È sconcertante questo esser passati da Carmelo Bene a don Mazzi, da Artaud a Beppe Grillo, questo presunto automartirio, questo continuo proporsi come un agnello sacrificale che, quello che fa, lo fa per il pubblico, come se lo portasse tutto sulle spalle. A me pare che un artista si esibisca per se stesso, per quel bisogno tormentoso e insopprimibile che fa di lui un istrione: tutto il resto è una conseguenza, se c'è. Zero merita quello che si è conquistato. Ma che il successo, la gloria, la ricchezza, siano qualcosa quasi da far scontare a chi li assicura, beh, questa storia non regge più: poteva avere un senso quando lui era davvero un marginale, un personaggio di rottura che scontava le sue scelte per affermare se stesso, contagiando del suo coraggio molta gente sradicata, insicura, emarginata. Ma tutto questo è andato da un pezzo, oggi c'è un intoccabile, indiscutibile, che polemizza con Napolitano perché vuole essere nominato Cavaliere, quanto a dire il riconoscimento di rispettabilità borghese per eccellenza. Uno che se fa un disco mediocre lo acclamano come neanche il Requiem di Mozart (però non lo comperano), che da anni non trova uno in grado di dirgli: no, Renato, questa cosa risparmiatela, non funziona, non è il caso. E che a me pare la Nemesi aurea di quello che, nella sigla finale di Fantastico, faceva il bagno nell'oro.

Commenti

  1. Ciao, Max. Ho scaricato e letto il tuo nuovo libro. Interessante, appassionato e sincero. Come duro e sincero è questo tuo commento che in buona sostanza condivido. A me quest'ultimo album, già dal titolo così volutamente ecumenico e declinato in prima persona, non è piaciuto. E' povero di contenuti e autoreferenziale in maniera imbarazzante: ma dico, con tutto quello che succede di questi tempi, qui e ora, lui non trova di meglio che raccontare della sua portinaia e rifilarci il ricordo sbiadito e banalizzato dei '70? Sono stata al concerto il 27 e che dire... Zero è sempre un grandioso interprete, generoso oltre ogni prudenza e misura (tre ore e 20 per 30 brani sono un praticamente un kolossal) però... la scaletta è insensata. Ma come si fa a proporre per intero un album così (compresi pezzi imbarazzanti come "La vacanza") e poi penalizzare in un medley "Arrendermi mai"? Alla fine il momento più emozionante è stato il video di "Un'apertura d'ali", che il regista D'Alatri ha ambientato nel carcere femminile di Latina. Anch'io penso che che a Zero manchino (probabilmente per colpa sua) interlocutori artistici con cui confrontarsi, che lo mettano in discussione e lo stimolino ad avventurarsi fuori dall'angoletto pericolosamente comodo in cui si è da tempo rintanato, dalla routine confortevole dei rituali da concerto, dall'autocelebrazione di un'epopea artistica che certo è eccezionale ma che non può diventare l'unica narrazione possibile. A marzo ho comprato, insieme ad "Amo", "The next day" di David Bowie (altra mia sconfinata passione musicale): due artisti entrambi ultrasessantenni, entrambi con un passato artistico ingombrante, entrambi a suo tempo innovatori e trasgressivi. Ma che differenza! Bowie ha taciuto per 10 anni, ma ha consegnato alla storia un capolavoro inqueto e intenso, tagliente e lucido. E la differenza mi ancora più saltata agli occhi quando ho sentito Renato rimproverare Napolitano (alquanto intempestivamente, peraltro) di non averlo nominato cavaliere: in quel momento mi sono ricordata che negli anni 2000 Bowie ha per ben due volte rifiutato analoghe onorificenze precisando piuttosto seccamente che non sapeva cosa farsene.
    Un abbraccio, Max.
    Con la stima di sempre.
    Aurora.

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  2. Per sua fortuna, Bowie non ha una sacra famiglia cui provvedere.
    Sono contento di ritrovarti, ti davo per dispersa.

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  3. "A me non convincono i testi ma neanche le musiche"
    (Silvia, via mail)

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  4. Con tutto il rispetto, a Madonia puoi lasciar fare un paio di brani. Non 11 su 14.

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  5. Mai in 36 anni sono rimasto così deluso da un disco di Zero, neanche per il Dono , che pure secondo me non era per niente ispirato. Zero ha sempre parlato di sé: solo che un conto è farlo con sincerità e toccare certe corde, anche drammaticamente e in modo lacerante ( Per non essere così', Accade, Siamo eroi, ce n'è un sacco, ed è il Renato migliore, e parlando di te così parli di e a tanti ), un conto è questo ricordare che lui è ottimista ha energia etc, tra l' altro un po' fasullo. E' davvero la fine ? E poi: com'è che un artista inquieto come Zero, alla fine ha il pubblico più stupido che ci sia? ( quorum ego, ovviamente )

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  6. L'inquietudine è finita. E' rimasta la stupidità di chi non si incazza quando sente un milionario dire "io sono come te".

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  7. C'è un episodio che mi parve illuminante: durante il tour legato a Presente veniva cantata Salvami, che secondo me è uno dei pezzi migliori in assoluto, e fu inserita una strofa nuova che non c'entrava assolutamente nulla col resto, qualcosa che riguardava il rapporto col pubblico, sufficiente a sterilizzare completamente il brano. Mettiamola in questo modo: era interessante il Renato che come persona aveva, diciamo così, qualche problema ( Renato "Zero", appunto ).Questo che privatamente è realizzato e sereno, con figlio e nipotine, artisticamente personalmente non mi da' nulla.

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  8. L'Uomo Zero, supereoe mezzo prevosto e mezzo industriale.

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