Altra
lezione imparata, meglio tardi che mai, sulla generosità sprecata.
Risale a Pasqua, quando ho troncato un curioso rapporto che non era
di lavoro ma mi impegnava più che se lo fosse: confezionare per
intero una fanzine dedicata a Renato Zero. Sul quale ho scritto due
libri, con il che m'ero ritrovato in mezzo a questa faccenda per cui
io scrivevo pezzi, preparavo interviste, correggevo lettere sorcine
deliranti, anche per la grammatica, supervisionavo il tutto e chi
“dirigeva” il giornalino, più adatta al ruolo di strillona per
le edicole, ne menava vanto. Tre anni, tutto sempre rigorosamente per
amicizia, senza
alcun compenso.
Dopo una defezione interna, mi era stata implorata una mano, e avevo
accettato. La mano era diventata il braccio, poi due braccia, due
gambe, praticamente un non-lavoro a tempo pieno. Alla fine, la rima
sorcina da “invadenza” si era trasformata in “prepotenza”, e
questo proprio non andava. Decine di telefonate ogni giorno per tutto
il giorno, pretese che coinvolgevano perfino mia moglie (in qualità
di legale), fino al colmo dei colmi: “Ma io a questo giornale
(sic!) ci lavoro anche più di te”. Già, ma allora dove stava
l'ombra di un rapporto professionale? E per cosa? Per il sogno,
l'utopia, il miraggio, la gloria zerofolle? Per l'esaltazione di
scrivere “GRANDIIII!” in fondo alla fanzine? Ma tutto questo,
benché soffocante (quel fanatismo sempre più infantile,
imbarazzante, quegli scemi che scrivono indignati al Fegiz di turno,
reo di lesa maestà...), non è stato decisivo. Finché non mi accade
di scrivere una recensione sull'ultimo disco, ovviamente benevola
dato il particolare contesto; e di sentirmi dire, dal basso
dell'altrui insipienza: qui critiche niente, se non ti va di
riscriverla la faccio fare a un altro. In quasi 50 anni di vita e 25
di mestiere nessuno si era mai permesso, neanche i peggiori
dilettanti: figuriamoci chi stava, se possibile, un gradino sotto.
Fine corsa, immediatamente. Mi spiace, perché a quanto pare c'è
andata di mezzo la collaborazione con un formidabile musicista col
quale stavo abbozzando qualcosa: pazienza, ciascuno fa le scelte sue,
io per esempio di farmi menare per il naso ho finito. A proposito.
Del disco, benché realmente pensassi che solo tre o quattro brani
andassero salvati, avevo scritto che tre o quattro brani potevano
essere risparmiati e i testi curati meglio, il che non inficiava la
riuscita di un lavoro concepito per la dimensione live. Mi è stato
risposto che il “popolo zerofolle” (sic!) non avrebbe accettato
un simile oltraggio. Io però di professione non spaccio sorcinate,
non faccio il sorcino e i fanatici non li sopporto, poi non si
capisce mai se il fanatismo sia una missione o un alibi.
Qui
però ha colpa anche l'artista, che non rinuncia a trasformarsi in
totem, che in un'ora di messa cantata tramortisce i suoi adepti con
un bombardamento di lezioni di vita. Quando un artista origina una
setta, alleva legioni di stronzi, perché i settari, mentalmente
deboli di costituzione, trovano finalmente una pseudoidentità e
filtrano tutto alla luce del santo; le loro coordinate morali sono
emulative, inconsistenti. Tutto quello che sta fuori dal cerchio
magico per i sorcini non esiste, sabato in Italia è successo di
tutto ma a loro premevano solo le sorciadi di Renà da Maria de
Filippi. E che Zero ormai venga tenuto, chissà perché, in odore di
santità, non sussiste alcun dubbio tra i “sorci”. Saranno i
corsi e ricorsi storici: già nel '500, a seguito della Riforma
luterana s'era sviluppata una miriade di sette, tra cui i
“sociniani”, che postulavano una teoria della tolleranza e della
moderazione verso gli altri (l'amore ecumenico de Renà) e una fuga
verso luoghi compatibili con il loro credo (la Zerolandia).
Intendiamoci: per me Renatone resta “un forte”, come direbbero in
Spagna, pur con le sue ambiguità, incoerenze e ipocrisie: nessuno è
perfetto, è la beatificazione che esaspera, pretesa o attribuita che
sia.
Ovviamente,
avendo io il brutto vizio di conservare tutto, fornisco a richiesta
carteggio e recensione. Quanto al resto del materiale rimasto in
sospeso, nutro ragionevole fiducia che nessuno vorrà fare la
scemenza di utilizzarlo: se ne pentirebbe oltre ogni limite.
Lo
so, lo so cosa state per obiettare, e me lo piglio tutto. Non dite
altro. Questa è una faccenduola trascurabile, ma era solo per dire
che per tutto un inverno ho fatto pulizie in me e attorno a me,
perché di disperati di tutte le risme e di tutte le taglie che
s'approfittano, e più s'approfittano e più pretendono, ne ho pieni
i coglioni. “Me li hai rotti!!!”.
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