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L'ECO DI UNA LUCE

Midtown, New York by Dominique Obadia

Vediamo se riesco a tradurre un'altra sensazione. Non sono impalpabili per definizione, per natura, le sensazioni? Sì, ma alcune sono anche dense come budini, come suoni, altre impalpabili come pulviscolo nell'anima. Come una luce, quella del sole nei pomeriggi di primavera inoltrata, già a ridosso dell'estate, quando è sera ed è ancora giorno e il tempo si ferma, si lascia afferrare, puoi saltargli in grembo oppure in groppa come a Pegaso. E quella luce lunga, accesa, amica si stende sui palazzi, indugia sui balconi, plana sulle piante, poggia sui prati ed ha il sapore dell'acqua che innaffia l'erba e insieme dei marciapiedi saturi di polvere, di vita, di passi. E t'incatena quella luce, perché il tempo non c'è più, è sera ma è giorno ancora ed è il momento di salutarsi aggrappati alla portiera della macchina rimasta aperta e dopo mezzora ritrovarsi lì, a prolungare la pausa, mentre intorno il mondo rotola. È una luce elegante, scintillante, sa di benessere, sa di relax, sa di musica, di fumetti, di poltroncine in terrazzo, di vigilie, di ferie che incombono. Sa di allegria, di spensieratezza piena di pensieri. Io mi staccavo dai pettegolezzi di un padre incatenato a una portiera aperta e prendevo la mia strada di casa, avventuroso e pavido, con una punta d'angoscia nella mia felicità. E nel concerto di vibrazioni che sono i colori, anche io ero natura. Io ero quella luce, ero in lei, era in me e mi dirottava e m'illudeva e mi nutriva. Io adesso sono l'eco di quella luce, e spesso mi sento come se solo quella luce fosse viva, come se solo ciò che non è più, esistesse. Figlio di una luce che mi pulsa dentro, e che non esce mai.

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