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“PER CHI SIAMO MORTI?”


Qualcuno si sarà anche stupito, o demoralizzato, nel constatare la miseria del bisticcio fra magistrati, la Boccassini e Ingroia, sulla pelle di Falcone (e poi anche di Borsellino). Veramente Ilda ha solo espresso un parere, per quanto aspro, dopodiché l'altro barbetta non la finiva più di fare la vittima e di scomodare i colleghi caduti. Colleghi per modo di dire, colleghi per inquadramento statale. In realtà io sto con la Boccassini, Ingroia rispetto a loro è su un altro pianeta. Comunque, nessuna sorpresa. Almeno per me, che certe faide le vedevo già dieci anni fa, ai tempi dell'effimera militanza nell'antimafia, una struttura dove io non ho mai sentito altri programmi che “facciamo fuori Berlusconi”, lodevole proposito ma che qualcuno tendeva a risolvere in modo letterale, oserei dire mafioso. Allora i giudici in lite erano altri, ma i contenuti sempre gli stessi. A chi appartengono Falcone e Borsellino? Lo so io, quante volte ho sentito nominarli, piangerli, rimpiangerli invano. E qualche volta ne ho abusato io stesso, da cretino, da esaltato, da presuntuoso, ultimo arrivato che ne sapeva poco e niente.
Quante volte ho visto le foto dei due amici, sorridenti, strappate dall'ambizione sciocca, dalla cialtronaggine, dal carrierismo. Dalla meschinità. Quante volte ho pensato: ma che c'entra, adesso, scomodarli ancora? Santi laici, santini dalle reliquie inesauste, ciascuno ne strappava un pezzo e ci andava in processione, mollando gomitate e calci negli stinchi ai compagni di giaculatoria. Per questo, sono morti esplosi, Falcone e Borsellino? Per quante carriere, di “colleghi”, di giornalisti, di ruffiani, di politicanti? Chissà cosa diranno, guardando giù. Chissà come rideranno, in modo malinconico come nella celebre fotografia. Ma forse nemmeno, rideranno e basta, compatendo un mondo al quale fortunatamente non appartengono più, e confidandosi in un filo di voce: per questi qui, abbiamo fatto la fine che abbiamo fatto? Per questi che si fingono tanto diversi dagli altri? Per questi che non la finiscono più di romperci i coglioni?
Non si salvano neppure i parenti piangenti. Tutti, e dico tutti, professionisti dell'antimafia, alias del posto al sole, del culo in poltrona, dello scranno garantito, della diretta televisiva. Gente che cambia più partiti di uno Scilipoti, di una Giulia Innocenzi. Quanti ne ho visti passare dal samba alle lacrime in diretta e subito tornare al trenino in hotel (a 5 stelle, nel giro antimafia ci si tratta bene). Una volta, quando rimase folgorato sulla via di De Magistris, uno di loro (si dice il peccato, non il professionista) fu sentito dire, ma non fu creduto dalle proprie stesse orecchie, che Paolo (Borsellino) l'avevano annientato, ma “a Gigi avevano fatto passar di peggio”.
Invece di peggio glielo farebbero i napoletani, a Gigi. Giustamente. Ma forse se lo meriterebbero in tanti che non la finiscono più di speculare sulla memoria di due giudici coraggiosi, morti per le loro inchieste, non divi per le loro inchieste forse appena un filo ideoillogiche, col senno del poi. Due che giudici sono esplosi dopo essere stati implosi, isolati, dannati, altro che partiti personali e isole dei Famosi (vedrete, Ingroia ci andrà, anzi ci è già). E che nessuno aveva mai sentito coprirsi delle polveri altrui. Facile, fare i martiri coi brandelli degli altri.

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