Maria Luisa Franchin, Capolinea |
Mi avete scritto in tanti, dopo la nottata da dimenticare di venerdì:
“Non arrenderti”. Ma non è questione di arrendersi, mica sono in
guerra. E' la semplice constatazione della mancanza di senso e di
alternative, che impedisce di protrarre quello che, tra difficoltà
sempre maggiori, cerco di fare. Qui, dico da queste lande in cui vivo
da 28 anni, mi risulta impossibile tirar fuori qualsiasi cosa. Qua
tutto parte male e finisce peggio, sia un reading sia una sfilata
d'auto d'epoca (ricordo ancora il boicottaggio della scorsa estate ad
opera addirittura di gente del Comune). Personalmente, mi sono
stufato di sbatterci l'anima. Ho anche imparato, non da oggi, che
l'andazzo è generalmente vile: i provocatori agiscono in gruppo, ma
se affronti la questione a modo tuo, lo Stato periferico fa mafia
contro di te, spuntano i testimoni falsi, spuntano gli sbirri e le
istituzioni che son tutte imparentate, tutte amminchiate e tu non ne
esci vivo. E allora tocca lasciar perdere, perché sembra un luogo
comune, ma lo Stato è una grande famiglia corrotta che tutela
ubriaconi e farabutti, gli incensurati e quelli che rigano dritto li
stritola appena ne ha il pretesto.
Mi confortano i commenti che mi sono giunti, anche se non posso
riprodurli, in merito all'ambiente. Uno mi ha fatto riflettere,
veniva da chi ha esperienza di locali: “Quale posto serve alla
gente tanto alcool fino a lasciarla ubriacarsi fino a quel punto?”.
Non è solo questione di alcool, ma di consentire senza fare una
piega certe escandescenze. Evidentemente c'è una compatibilità.
Auguri, anche se di solito certi contesti non hanno lunga vita.
Detto questo, che è un problema contingente, del tutto personale e
insignificante, ce n'è un altro più grande, più serio. Non posso
andare avanti a "parlare il mio blues" (immagine stupenda
che debbo a un lettore). Lungi da me qualsiasi sospetto di
presunzione, anzi sono il primo a riconoscere che di quello che
propongo si può fare tranquillamente a meno. Penso semplicemente che
il poco che propongo abbia fatto il suo tempo: un tempo che non è
mai venuto. Io non parlo delle cose che vanno di moda, come il sesso,
le stragi o il gossip, non sono il cover boy di nessuno, non faccio
teatro civile, non tratto di politica, non vado a parare per chissà
quali mari ideologici: parlo di mari di dolore, che sta dentro, che
esce fuori; posso raccontare il grottesco di un reparto ortopedico
dove una vecchia suonata prima urla "Porco Dio" e poi vuole
la comunone (scena epilettica di un cialtrone che tutto era e pareva
meno che un cattolico, e pare ne abbia approfittato per andar via senza
pagare), e poi piangere per un gattino al quale scoppia il cuore. Io
non mi vergogno di piangere, di ridere, di inveire in scena. Credo in
quello che scrivo, perché quello che scrivo è tutto vero. Io sono
viscerale in scena. Ma questa violenza, mi accorgo, non è accettata.
Turba, sconcerta. Indispone. Rende aggressivi. A prescindere dal suo
valore - sono convinto che ne abbia, ma non è questo il punto. Chi
c'è va a casa ferito, oppure diventa a sua volta violento con me.
Perché questa mia è violenza dei sentimenti. Oggi viviamo in
un'epoca inzuppata nella violenza, ma di tutt'altro genere. Da
romanzo pulp, da film di Tarantino, da fumetto. O da telegiornale.
Violenza commerciale. Non dico sia peggiore, è solo diversa. Le cose
che propongo io, così come le propongo io, danno, mi accorgo, un
gran fastidio, e non mi riferisco alla faccenda di ieri notte, che
per livello generale non fa testo. Lo danno in genere. La gente,
anche giovane, si nutre di dischi oscuri, di libri cupi, ma a sentire
uno che vive questa roba, che la vomita in faccia così, non è
pronta. Vedere i propri demoni o incubi, quelli che tutti nutriamo o
dovremmo nutrire, scatenati così, fa male. Di questo ho dovuto
prendere atto. Insistere no, la questione è chiusa. Per citare un
campione, Joe Frazier, “nessuno fa a cazzotti solo per sentire
dolore”. Io sono 22 anni che faccio a cazzotti con tutto, con la
vita, senza chiedere né ottenere nulla in cambio. Ringrazio chi mi
ha incitato a “non cedere”, nel contempo invitandomi a lasciar
perdere. Le due cose sono un'aporia per me. Non si può sposare la
noluntas e insieme continuare ad essere appassionato, creativo,
dionisiaco. Io mi sono sempre alimentato del mio entusiasmo, anche
nei momenti di disperazione. Ma non dimentico l'espressione incredula
di Paolo e gli occhi di chi c'era venerdì notte. È colpa mia e
direi che può bastare.
Ci credo che sia colpa tua.Essere fuori dal proprio tempo e non sapersi adeguare sicuramente lo è ,non essere "contemporanei"? Io mai come in questo periodo mi rivolgo vigliaccamente al passato per avere un pò di conforto o anche solo per allontanare i miei demoni.'E giusto e sacrosanto evitare forti delusioni come quelle dell'altra o di tante altre sere perche sono ferite che non si rimarginano mai del tutto e un corpo (o anima,tanto è lo stesso) a forza di ferite dopo un pò schiatta.
RispondiEliminaForse il tempo potrà far guarire.