Dopo la illuminante emissione della D'Urso di domenica, io credo sia
tutto sommato indecente stracciarsi oltre le vesti per i pedofili,
gli omicidi, i necrofili, veri o millantati. Credo anche sia inutile
il feticismo per le leggi, le regole, i sistemi positivi (e anche gli
stessi codici di autoregolamentazione televisiva), se l'ineffabile
zio Miché, dopo avere rivendicato l'omicidio, lo stupro e
l'occultamento della nipote 14enne, anziché in un carcere di massima
sicurezza, quantomeno per falsa testimonianza o oltraggio alla corte,
finisce in televisione, presumibilmente a gettone, a ricevere la
composta tenerezza di zia Barbie e i commossi applausi del pubblico.
Si dirà, più opportunamente, che lo zio non è un mostro ma la
parte bella di noi, una sorta di martire santificato in vita,
meritatamente assurto alla gloria dell'altare televisivo, chi non
vorrebbe avere uno zio così? Perché questo dice la trasmissione,
questo dice la conduttrice, questo dicono quegli applausi. E non mi
si venga a parlare di finzione nella realtà, di realtà nella
finzione, di format, di quello che vuola la gente e altre cazzate
monumentali. Diciamo invece: nessuno tocchi lo zio, nessuno lo
giudichi, nessuno tracci un confine tra possibile e assurdo, tra
indecenza e follia. Standing ovation (e una seconda, ovviamente, per
l'imperdibile momento di tivù lunare al cospetto del signor
padrone).
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