Arrenditi al prodigio che puoi |
L'ingegneria
genetica di una poesia se si potesse calcolare mai, che guai, che
follia se gli uomini sapessero spiegarsi come fanno a sciogliersi di
pioggia, quale rabbia si spalancherebbe sotto giorni di sabbia
sparpagliata al vento. Come fa a nascere un sentimento, un verso
dall'incanto delle voci sparse della gente, dal rimpianto d'una
stagione persa e perdente? La mente è in piena e smetti di morire
solo se hai rovesciato fuori le visioni senza corpo a tormentare i
sensi. Se sguazzo nella luce come un pesce felice non c'è niente da
fare. Non me lo puoi spiegare. Lascia stare. Prova un po' a salire
dall'abisso interiore fino alle vette dove soffia il canto che non
puoi svelare. Con il cuore ricevilo, con le mani cattura ogni volta
il mistero. E come un bambino stupisciti ancora se l'aria colora
l'amore che a sera hai visto passare. Se senti quel brivido nelle
gambe correre e lo trasformi in silenziosa musica da leggere. Da
avere. Sii umile, arrenditi al prodigio che puoi, accetta
d'annullarti in quello che non sei, accetta che niente t'appartiene.
Meno di tutto l'origine del fuoco amico che brucia chi lo brucia.
Meno di tutto il gioco che dal vuoto di un assillo crea parole, suoni
muti ostaggio d'un sussurro.
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