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SPIDER MAN



SPIDER MAN
Perché no? E allora, andiamo a vedere l'Uomo Ragno. L'Uomo Ragno è una faccenda molto diversa dai precedenti, tutto giocato sul minimalismo pur nella grandiosità della confezione. La stessa tridimensione non è un gioco di specchi, un caleidoscopio di effetti ma una costante di tutto il film, di ogni scena così che l'occhio dopo un po' si abitua, non la percepisce quasi più, gli sembra “semplicemente” di essere dentro a quello che succede, in tutte le sue normali profondità. Quello che succede è un supereroe in questo caso davvero vulnerabile: esile, sperduto com'è sembra un pupazzetto sempre sul punto di spezzarsi, le sue strabilianti prodezze s'infrangono contro limiti più enormi, le fragilità sovrastano i poteri, non è più lui al centro dell'universo ma un puntino a volte impercettibile nella sconfinatezza della metropoli, rimbalza per i grattacieli infiniti, i ponti eterni, le cisterne mastodontiche, si perde nei panorami senza limite, persino il suo avversario, la lucertolona umana Lizard, lo sovrasta per dimensione e potenza e lui ha bisogno dell'aiuto dei gruisti per venirne a capo. È un racconto triste in una New York sempre oscura, cupa, notturna, pare la Gotham City di Batman, si ride poco, molti si fanno male, molti muoiono e tutti restano soli; anche la scienza è nemica, è cattiva, il professor Connors sogna violentemente di poter farsi ricrescere il braccio che ha perso ma esagera, la natura si vendica, lo tramuta in un mostro inseguito da un altro mostro che poi è Spiderman, il diverso, l'anormale. Avventure di umani deboli, mutilati cui ricrescono arti, esplodono forze, diventano sovrumani. E ancor più infelici di prima. Anche la retorica è stata asciugata, la celebre filosofia pop dei grandi poteri da cui derivano grandi responsabilità è più accennata, più aggirata che scolpita, la morale (naturalmente) resta ma senza farla tanto lunga, io sono l'Uomo Ragno e mi tocca esserlo per stato di necessità, perché un aracnide mi ha fottuto, perché ho avviato io il domino perverso delle conseguenze. E tanto mi pesa la mia condizione di mostro che debbo per forza confidarla a qualcuno e finisce che la rivelo alla persona meno adatta, quella cui tengo di più e che espongo di più. E così, da grandi poteri derivano grandi dolori, grandi sofferenze: sono un diverso, sono un mostro e mio malgrado scateno conseguente aberranti, chi mi frequenta si fa male, se ne va con l'ombrello sotto un diluvio di lacrime perché il male sporca anche se lo insegui, se lo combatti, il bene deve sporcarsi le mani e nessuna guerra, per quanto giusta, santa, obbligata, resta senza vittime.
Quando il film, lungo, molto lungo, centoquaranta minuti, termina, si accendono le luci e la sala è deserta, ci siamo solo io e mia moglie, una coppia di adolescenti coi caschi del motorino e, più avanti, in cima alla sala, due carrozzine. Due ragazzini, almeno uno ha una malattia degenerativa. Vengono a prenderli, li portano via. Uscendo, giriamo attorno al cinema e c'è un campo di girasoli con la testa piegata, sfiniti dal sole.

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