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TROVARSI MALE AL FATTO


Vice e Versa

TROVARSI MALE AL FATTO
Da un po' di tempo il Fatto sembra Casa Briatore: scivoloni, anche sulla saliva, defezioni, compromissioni politicanti con l'antipolitica peggiore, quella grillesca che aspetta la gran madre Gegia, vetrina a personaggi da Billionaire (ormai sbaraccato) quali d'Alessio e Corona (di tanta posa oggi questo vi resta), interviste carpite (a Giovanni Sartori), figuracce degne di miglior causa come quella della Silvia d'Onghia sui complottisti di Brindisi, insomma una tegola dietro l'altra. Di concerto si scopre il crollo dei lettori, un quarto di meno da quando Berlusconi s'è tolto dalle palle: l'antimontismo in salsa Fiom paga meno e anche i fanatici s'incazzano o quantomeno si stufano. Perché i fanatici, immaturi per definizione, hanno bisogno di eccitarsi sempre, continuamente, altrimenti passano ad altra setta. Così la testata, che pur impancandosi ad oggettività fattuale è la più faziosa e la più schierata nella stampa più faziosa e schiarata della terra, non fidelizza più, è noiosa, di colpo sembra elementare, gonfia di intercettazioni strumentali, di cause sballate come quella che “punisce” Napolitano il quale, appena ha sollevato il ciglio su certe disinvolture della magistratura, ne è stato esemplarmente avvertito, e nel modo più truce. È venuto fuori perfino il tesoretto mafiosetto di Massimino Ciancinimo, uno che dalle parti del Fatto è considerato come l'oracolo santo, e che adesso insinua manovre magistrali per fargli dire quello che si vuole lui dica. Ma fin qui, sono solo incidenti di percorso.

Adesso vengono fuori le magagne vere. Tipo il primo finanziamento pubblico, chiesto dal giornale che si vanta di non ricorrere ad alcun finanziamento pubblico, nel febbraio di quest'anno; il crollo, appunto, delle vendite e specularmente della raccolta pubblicitaria, preoccupante perché velocissimo, tutto in un quadrimestre; la discesa degli abbonamenti; il calo dei titoli di Banca Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Banca di credito cooperativo di Roma, che è un pacchetto finanziario niente affatto male per chi fa le battaglie antibanche (la celebre doppia morale del Grillo); buon ultimo, le speculazioni sballate come quella nello Zerostudio di Santoro, che di suo si salva rotolando a La7 che gli dà una paccata di milioni (portandosi dietro Travaglio e Vauro, secondo copione: ma i 200mila e passa euro persi dal giornale sono un'altro paio di maniche). Morale: l'ex amministratore Poidomani prende cappello, subentra la Cinzia Monteleoni che subito fa rispettosamente capire di non essere del tutto completamente d'accordo in modo assoluto con le scelte del vice (il direttore formale, Padellaro, dicono i maligni conti quanto una padella bucata: ma questa, intendiamoci, è solo satira e la satira come noto non patisce bavagli). Ma quando una firma conosciuta, come Telese, se ne va, tirandosi dietro, si mormora, una fila di gente che non ne può più dei metodi diversamente democratici di Travaglio, questo, come dice Jess ad Harry in “Harry ti presento Sally”, “è il sintomo che qualcosa non va”.
A questo punto il giornalino, che fa quarantamia copie anche se se la tira come l'Asahi Shimbun (gonfiarsi, gonfiarsi: qualcuno ci crederà), pare sull'orlo di una crisi isterica e inanella brutti momenti; si trova male. Da cui, forse, l'eroica scelta di spedire la fanteria nel pantano del gossip alla Signorini, sia pure fingendo che no, noi siamo altro, noi estirpiamo la verità: ed ecco i neomelodici, i Corona, chissà domani gli Schettino, eccetera. Sarà che, come dice Plutarco, quando le candele si spengono tutte le donne sono belle. Quanto resta al Fatto per ricevere il biberon di Stato, come al Manifesto, per continuare a giocare agli antisistema?

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