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TATUAGGI


Che faccio, gli do retta?

TATUAGGI
Facciamo a capirci, io non ho niente contro i tatuaggi, anzi mi piacciono molto ed è per questo che mi dispero alla vista dello scempio da struscio balneare. Ulteriormente peggiorato, quest'estate, direi: c'è in giro gente che ha l'aria di ricamarsi la cotica così, perché non ha di peggio da fare. Certi sembra che abbiamo una malattia serissima della cute, altri si dipingono fuochi d'artificio, giardini fioriti, cupi simboli religiosi (una croce immane a coprire una schiena intera), orrendissimi simboli politici, fisionomie incomprensibili. Poi ci son tutti quei ghirigori maori, come li portano Madonna, Lady Gaga o i calciatori, che proprio fan venir voglia di portarsi al mare una pistola a raggi laser, come quelle che usavano i Rockets. E infine le indicazioni sessuali: per andare in buca (davanti o dietro), seguire la freccia. Sì, l'avevamo capito anche senza segnaletica stradale. A me piacciono, dicevo, i tatuaggi ma non ne trovo mai uno elegante, raffinato, originale o semplicemente simbolico, che si capisca che nasconde una storia. Anche quelli della galera, che sono i miei preferiti perché imprimono a fuoco sulla pelle la sofferenza e l'errore, non li scovo mai. Una volta uno della Sacra Corona Unita me li spiegò, e fu una lezione affascinante: un piccolo sole, una trama di puntini, un simbolo quasi impercettibile possono raccontare vite intere. Vite criminali, spaventose e tragiche. Ricordo i malamenti di cui scrivevo da cronista giudiziario, certi bestioni, i figli della guerra, usciti dall'incontro di mezz'ora tra la madre e qualche soldato americano di passaggio. Gente nata sbandata, dalla parte sbagliata della strada ancor prima di venire al mondo, che non avrebbe mai avuto un altro destino. Di tatuaggi erano coperti quei pirati di strada, si capiva che erano tatuaggi proprio da malavita, fatti alla buona (stavo per dire: alla cattiva), storti, maleodoranti, preoccupanti, che grondavano significati. Quante minacce e quante confidenze ho ricevuto da quella gente: io ero affascinato solo dai loro tatuaggi, fu lì che me ne innamorai. Ma un tattoo bisogna meritarselo e la robaccia che vedo in giro addosso alla ragazzine o ai bovini da ombrellone non ha niente a che vedere con quelle grinte romantiche e feroci. Io son lì lì per farmelo, un piccolo tatuaggio, ma ancora tergiverso. Ho anche trovato il simbolo, il posto e il motivo. Tutto quello che mi porto addosso deve avere un perché: oggi mi sono accorto che il nastrino di caucciù dov'è infilata la targhetta d'oro col mio nome sta cedendo, è un miracolo se non me lo sono ancora perso in mare. Questa piccola placca ha 30 anni: mi fu regalata per il mio diciottesimo compleanno. C'erano i Mondiali di Spagna, e adesso ci sono gli Europei in Polonia e Ucraina: mi capita di raccontarli per una testata, non lo avrei mai immaginato da quel ragazzino che ero, e che a volte ancora si cerca. Questo nome che mi porto attorno a un polso unisce una vita, mi parla della mia maggiore età, dei miei sogni evaporati, di mio padre che non c'è più, di partite che già raccontavo, anche se solo a me stesso, di un momento storico. Ogni tanto debbo guardarmela, la targhetta col mio nome, per convincermi che è tutto vero. La mia vita, e ha cambiato non so quanti nastrini di caucciù. Non è un braccialetto, è uno scrigno di memorie.
Anche l'orecchino al quale sono appeso è un anello di ragioni: me l'ha fatto mia madre, con un biglietto che conservo, tre o quattro anni fa. Rappresenta la sua resa e la è mia risposta ad una società che non mi ha mai davvero voluto. È un regalo anche l'anello col teschio che porto all'anulare, e che per me vuol dire come sono sotto la maschera, vuol dire la mia parte più profonda, la mia disperazione e la mia difficile, faticosa, controproducente, costosa libertà. Ho sempre pensato che un simbolo non vale in sé, ma per chi lo indossa e per come lo indossa. Stagione dopo stagione vado addobbandomi come un vecchio albero di Natale, che ha visto Natali migliori e dispera di vederne di migliori. Quanto più io mi confino al di fuori di una vita “normale”, tanto più i miei simboli parlano di me. Se arriverà anche un piccolo disegno sulla mia pelle, non sarà meno importante. Sarà un altro indizio di qualcosa che ancora ha dirottato questa vita da niente, alla quale è successo di tutto e, almeno nel cuore, continua a succedere di tutto.

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