Anna Morando, Generosità |
L'ALTRA RIVOLUZIONE
ciao
max. i ricordi di tuo padre sono splendidi. ho sentito lo sfrecciare
delle macchinine nella bisca, ho visto le pistole messe sul tavolo
dell'osteria, l'acqua delle tazze ondeggiare tra un sorso e l'altro,
mentre gli orientali crollavano uno dopo l'altro. fantastico. mi fai
provare nostalgia di una vita mai vissuta. mi costringi a ripensare a
dettagli e particolari dei miei genitori che avevo nascosto, messi da
parte. non avventurosi come nel caso di tuo padre, ma che li riportano
nella dimensione umana che negli ultimi 15 anni avevo ignorato, presi
come eravamo dai nostri guai famigliari, tra la poca salute dei miei, il
pericolo di sprofondare nella povertà per cause legali decennali, il
nostro isolamento all'interno della famiglia, cosa ne sarebbe stato di
me dopo la laurea.
ho
iniziato la nuova esperienza di volontariato, nell'ospedale san
martino. ho accompagnato un volontario esperto, il mio tutor, un signore
50enne dal viso cordiale e dai modi rilassati, nel mio primo giro nel
pronto soccorso. è stato bello, ho visto come lui, con la sua
delicatezza, i suoi gesti (mani che si posano sulle spalle, sul dorso
della mano), le sue parole, ad alcuni di conforto e ad altri scanzonate.
gli occhi dei pazienti, per lo più persone anziane, alcuni si
riempivano, brillavano, alla possibilità di parlare. c'era un signora di
novant'anni. sembrava una ragazzina spigliata, un sorriso sbarazzino,
quasi non le importava di essere lì per problemi di salute. o un signore
di 80, ne dimostrava venti di meno, appassionato di immersioni, per una
vita tecnico sulle piattaforme petrolifere. ci ha detto: "sono qui, ma
non l'ho detto ai miei amici, non voglio farli preoccupare". quanto mi
hanno fatto sentire piccolo e stupido, a confronto con le mie storture e
le mie miserie che non sono ancora capace di raddrizzare! (ancora non
ci riesco a mettere su quella rivoluzione di se stessi).
ne
parlo con te, non con gli amici, le persone che ho qui, accanto,
fisicamente vicine. non perché non li considero degni, ma perché ogni
tanto li sento lontani, refrattari alla comunicazione più profonda. due
esempi sciocchi. due settimane fa ero a milano: i miei amici mi hanno
portato in uno di quei locali orrendi da aperitivo, musica house a
volume indicibile, cibo spazzatura, camerieri cingalesi per dimostrare
di essere tolleranti (e invece dimostrano quanto siamo meschini e alla
ricerca di schiavi), maschi e femmine allo stato brado. a un certo punto
esco, per prendere aria. faccio un giro dell'isolato ed entro in una
kebbaberia. dentro ci trovo i componenti di un gruppo che ascoltavo con
passione al liceo, gli interno 17: comincio a parlare con loro, dicendo
quanto mi piacciono le loro canzoni, le ascolto ancora; parliamo del più
e del meno, come vecchi amici, mi raccontano delle piccole
soddisfazioni e del momento di chiudere l'esperienza musicale, perché il
successo non era arrivato. ero molto emozionato. il cantante del gruppo
mi chiede l'indirizzo per spedirmi il cd che avevano pubblicato nel
2009, e che avevo perso. dopo 4 giorni arriva a casa: immagina la gioia.
ecco, una cosa del genere ho provato a raccontarla. due persone mi
hanno ascoltato e hanno condiviso la mia emozione.
due,
la mia cancellazione da facebook, e in genere dal mondo social network.
visto dagli altri con fastidio, con sospetto. i motivi sono tanti.
dalla stupidità dei discorsi, alla autoreferenzialità eccessiva,
all'autosputtanamento compiaciuto. ma quello centrale è che io non sono
un profilo in cui cerco di apparire agli altri migliore di quello che
sono, senza difetti, pieno di amici, di foto di vacanze, di link a video
musicali che nessuno vede/ascolta.
io
sono anche il mio lato peggiore, e non voglio alienarmi nel tentativo
di nasconderlo. voglio ben sapere di quali meschinità sono capace, per
poterle superare.
e
voglio anche una faccia davanti agli occhi, una voce per le orecchie.
pazienza se perdo il contatto quotidiano con qualche caro amico che vive
al sud, vuol dire che spenderò qualcosa in più in ricariche telefoniche
per sentirlo parlare.
in
questo mondo dove dobbiamo essere sorvegliati giorno e notte (giusto
per dirne una, ieri sera mi ha fermato una pattuglia di finanzieri
mentre facevo una passeggiata solitaria per chiedermi i documenti, che
non avevo, e ho dovuto sudare sette camicie per non farmi portare via
per identificarmi...), voglio godere di una minima forma di libertà, di
sapere che non c'è qualcuno che tiene sott'occhio il mio profilo (e ce
n'è di gente che fa così).
e
siamo anche così abituati a conformarci gli uni agli altri che addirittura un evento modesto come cancellarsi da un social network
desta sorpresa e incredulità. forse l'ho iniziata la mia rivoluzione? so
che non è così, ma mi piace pensare che un primo passo in quella
direzione l'ho fatto.
grazie di avermi letto, un caro saluto.
vitandrea
La rivoluzione in cui credo è quella dei sentimenti. è la più difficile, è fatta di piccole cose.
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