FA
CALDO, NON SI LAVORA
Nell'indolenza
del dopopranzo capto una notizia che ha dell'incredibile, anzi
dell'indecente: siccome fa caldo, a Firenze, dove ci sono “ben 35
gradi", alcuni uffici sono rimasti chiusi. Strabuzzo gli occhi e
penso che no, non può essere vero, anche se siamo in Italia. Invece
è proprio così, nella città dei Medici debbono essersi detti che
d'estate lavorare non è sostenibile, manco fossimo in Messico.
Sarebbe questo il Paese che si dibatte nella crisi, che ha fame di
lavoro? E per l'astensione meteo, gli spossati impiegati ci
rimetteranno almeno il giorno di paga o i soliti sindacati
provvidenziali aggiusteranno tutto, magari invocando una “indennità
calore”? E nei paesi del mondo dove fa caldo sul serio e per tutto
l'anno, per esempio in Africa, come si regoleranno? Va bene che noi
siamo melodrammatici per natura, passiamo dall'emergenza gelo a
quella siccità nel giro di pochi minuti, appena il sole spunta i
telegiornalisti si esibiscono in scene da tarantolati e le mamme
tentano di affogare i bambini nelle fontane, mentre i telecronisti si
sciolgono in pena per gli azzurri costretti a giocare con questo
caldo infame (ricordo, cambiando sport, Adriano Panatta: serviva la prima palla del primo game del primo set con drammatica fatica, già squagliato dopo il tragitto fra gli spogliatoi e il campo, a vederlo veniva voglia di buttarsi dentro il televisore con uno straccio gelato). Tutto ciò considerato, non si spiega lo stesso
l'insostenibile disagio fiorentino, posto che oramai ogni negozio,
ufficio, luogo aperto al pubblico è dotato di impianto di aria
condizionata (spesso a livelli artici) e così anche le auto col "clima di serie" che
trasportano gli esangui lavoratori fino alla scrivania. Se proprio a
Firenze se ne fossero dimenticati, che aspettavano a provvedere (con
una spesa certamente minore di un intero giorno di sciopero sudato):
l'avvento del prossimo inverno?
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