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PERSON OF INTEREST



PERSON OF INTEREST
Se ne parla, abbondiamone dunque noi pure. Sull'onda del rigurgito partitico, Grillo sta costruendo una comoda e inaspettata fortuna. Comoda perché, lui stesso lo ammette, non deve fare niente, fanno tutto “quegli altri”, ormai fuori controllo (ma il concetto tradisce pure una desolante carenza prospettica, Sartori ha ragione nel definirlo liquido: dopo di lui il diluvio). Inaspettata perché, fino a poche settimane fa, Grillo pareva destinato ad un mesto oblio, risucchiato da defezioni, polemiche interne, mancanza di struttura democratica e anche dalla scoperta di qualche altarino. Il movimento cinque stelle, nome da resort, non esiste letteralmente, è volatile (o liquido) quanto la vecchia Forza Italia e, in modo speculare, si esaurisce nella figura carismatica del boss, l'ex comico che si erge su basi bambinesche, costruite sui vaffanculo, sui riprendiamo il mitra, sugli sbirri di merda beato chi vi fa fuori, su alcune scivolate razziste che eccitano una opinione pubblica senza opinione, infantile di suo, che va a votare per gioco, cercando il brivido come al luna-park. E infatti adesso lo temono, lo pronosticano addirittura al 7%, dovesse cominciare a farcire i suoi comizi con qualche bestemmione, minimo li raddoppia. Sarà che, come cantava Finardi, la gente s'innamora sempre della gente convinta.
Certo, i partiti dopo il rigurgito tradiscono la risacca, si ritirano e lasciano a riva scorie tossiche. Però la realtà non è probabilmente quella che appare, i partiti per quanto male in arnese non sono entità abituate a cedere facilmente e sono loro che controllano ancora l'informazione. La quale sta esaltando Grillo con toni troppo, troppo sospetti. Al punto che l'esplosione di attenzione per il guitto sembra, ad una lettura meno superficiale, nascondere la camicia di forza: lo pompano per stritolarlo. Giuliano Ferrara, per esempio, ostenta comprensione e perfino stima per uno che lo definisce in ogni comizio bidone di merda, montagna di merda. Ma Giuliano Ferrara, ex comunista sempre un po' comunista, non è tipo da lasciar correre. Semplicemente è un machiavellico il quale, giocando per e su un altro cavallo, trova che, per il momento, conviene lasciare a Grillo briglia sciolta. Ma non c'è dubbio che, a tempo debito, qualcosa succederà. Potrebbe addirittura essere che i partiti, non di sinistra, ma in essi pure qualche leader di sinistra che ostenta disinteresse (D'Alema), giudichino leninisticamente utile lasciarlo gonfiare fino alla consacrazione nel potere, in modo da farne emergere tutte le mancanze, le inettitudini del caso, in modo da vederlo squagliare appena presa la Bastiglia. De Magistris a Napoli è già a questo punto. Pisapia a Milano ci sta arrivando. E ha una struttura e una esperienza politica assai più solida. Grillo non è niente, è uno che sbraita ma fondamentalmente è solo uno pieno di sé. Di ciò che sbraita non conosce niente, sull'energia e l'ambiente delira, sull'economia è penoso, di politica digiuno al punto da ostentarlo. Si sottrae ai confronti perché ne uscirebbe distrutto o costretto a rifugiarsi in una oratoria da casino imbarazzante: non si può risolvere sempre tutto con battute guarnite da cazzi o strabuzzando gli occhi come faceva Mussolini. Va oltre la demagogia, è perfetto per un elettorato culturalmente e politicamente analfabeta (cioè la maggioranza, cosa che terrorizza i partiti).
Ma fin quando un capo dello Stato mediocre come Napolitano trova modo di considerarlo una causa anziché l'effetto della risacca, Grillo dorme sonni tranquilli. Il problema per lui non è chi lo attacca ma chi lo esalta, usandolo come una testa d'ariete. Sapendo benissimo che, appena può, anche questo rifluisce subito nella fogna. Non è lo stesso che è passato dal prendere i computer a martellate al totemizzarli, quello che voleva fare il segretario del PD?

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