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SAMBA


SAMBA
Non c'è molto da dire. All'epoca vivevo in un posto sul mare e l'inferno, se c'è, dev'essere proprio così. La fine del tempo. Non aveva un'anima. Cancri di cemento cresciuti a caso, aborti d'improbabili insegne. Se pioveva, pioveva squallore. Di giorno in giro nessuno. Di notte uscivano gli spacciatori, i viados, i trans e se si trovavano era avevi chiuso, ti venivano addosso a tempo di samba ed eri finito. Loro non sono, come si dice, anime perdute, sono orsi feroci, che non hanno più niente da perdere, che aspettano la morte. E intanto ballano, per strada, in casa loro e i vicini impazziscono. Usano il corpo per un sacco di storie e il sesso, sapete, è proprio l'ultima. Lo usano come deposito, ecco quello che fanno. Si portano addosso la roba più strana. I clienti passano e ritirano la consegna. Se s'incazzano sono spietati. Lo so io quanti ne ho visti uccidersi, nelle risse, per le storie più stupide, autentiche cazzate. È il giro che è così, non puoi scappare. Prima o dopo ti tocca. Un femminiello lo trovarono seduto sul suo divano, nel monolocale di un casermone abitato solo da gente come lui. Vestito da donna e crivellato da 100 colpi di punteruolo. Lo chiamavano “Patatina”, era ridotto un colapasta. Un altro finì in un fosso colla testa mezza staccata da un fendente di coltello da cucina. Di certi alla fine uscivano frammenti, come se la campagna avesse vomitato quel che restava di loro. Io raccontavo tutto, ero lì per quello.
Li conoscevo. Anche qualcuna che poi divenne famosa, prima di crepare. Li incontravo in giro e avevano imparato a lasciarmi perdere, perché non era cosa. Ma certi miei amici no, e finirono con le croste in faccia. Sei mesi prima eravamo lì insieme a prendere il sole, a farci una pizza e adesso non mi salutavano più e dovevo scrivere che erano finiti dentro. Sapevano che dovevo farlo, che non li giudicavo e qualcuno mi salvò la macchina - lo venni a sapere solo molti anni dopo.
Ci sono rimasto 17 anni in quel posto da pazzi, un posto che non esisteva davvero.
Ogni tanto qualcuno spariva e ti chiedevi dove l'avessero ammazzato. Ogni tanto qualcuno tornava. C'era, davanti casa mia, un ballerino nero, dicevano che era stato un ballerino in gioventù. Di giorno era un nero qualunque, lo vedevo fare la spesa allo spaccio, piccolo, magro e con la testa calva sotto una cuffia. Mi stava simpatico perché vedendolo potevo fingere di stare in America, da qualche parte, ma lontano da lì. Mi faceva ricordare che il mondo è grande, dopotutto. Quando annottava si metteva la minigonna, le calze a rete, i tacchi altissimi, una parrucca di boccoli bianchi e usciva a battere. Tornava all'alba, l'ho visto un sacco di volte che rincasava portandosi dietro i mostri di tutta una notte. Ci salutavamo come quei vicini di casa che hanno ipocriti rapporti formali.
Poi un giorno la sua finestra non s'è aperta più e in giro si diceva: hanno ammazzato la ballerina, l'hanno fatta a pezzi e poi li hanno sparpagliati in giro e nessuno li troverà mai perché gli animali se li sono mangiati. Però non c'era verso di scoprire quando, e perché qualcuno gli avesse fatto questo. E nemmeno chi fosse stato e questa era la cosa più incredibile perché quando spariva qualcuno si sapeva subito chi era stato e la polizia andava a colpo sicuro. Neanche doveva fare il giro dei bar con le slot truccate o dei minialloggi. E invece la ballerina niente, nessuno l'aveva vista più e la finestra davanti casa mia restava chiusa. Solo che nessuno veniva a subentrare, quel monolocale non lo voleva nessuno. E restò sbarrato un sacco di tempo.
Poi, un pomeriggio tardi d'aprile, di quelli lattiginosi che la primavera pare abortirci dentro, sento nell'aria la musica di Sympathy for the devil a tutto volume. Guardo fuori e sul balcone c'è la ballerina che balla. Tutta vestita come allora, la mini dorata, le scarpe rosse coi tacchi, le calze nere e anche la parrucca bianca. Ballava il samba maledetto dei Rolling Stones, però stentando un po', come se non riuscisse a farcela, come perdendo un po' il tempo. Però si vedeva che era stata una ballerina, perché si muoveva bene, nonostante tutto. Ballava e mi sorrideva dal balcone e mi mandava dei saluti, dei baci. Io le risposi alzando un braccio: con quella canzone ci si intendeva. Non posso non voler bene a chi spara Sympathy a volume da pazzi come a voler tirarti in faccia tutta la propria cazzo di vita. Veniva giù sera, e la nera ballava, e mi chiamava, e la canzone finiva e lei la rimetteva da capo e continuava a ballare come un pupazzo meccanico che ogni tanto s'inceppava. Poi non sentii più niente e dopo un po', che ormai s'era fatto proprio scuro, la vidi uscire. Zoppicava. Si diresse verso il suo posto sulla Statale e ci mise una vita.
La gente diceva: hai visto la ballerina, è tornata, però l'hanno massacrata di botte e adesso è storpia.

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