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VIA MONTE NEVOSO, MONTE DI MISTERI
Non riposano in pace gli scritti di Moro, trovati in copia (mai in originale, e mai completi) a due riprese in via Monte Nevoso a Milano, la prima l'1 ottobre 1978, quando gli uomini del generale Dalla Chiesa fanno irruzione arrestando 9 brigatisti di spicco. In tutta la via la sorpresa è enorme, in particolare tra gli inquilini dello stabile, tutti concordi nel riferire di non essersi accorti mai di niente, di non avere sospettato alcunché riguardo ai tenutari di quell'appartamento al piano rialzato. Ma sono versioni che non convincono, e che vengono smontate da un ricordo di prima mano, rilasciato all'autore di questo libro da una abitante dello stabile di fronte al covo brigatista: “Quella mattina mi stavo preparando per andare a Messa, quando avvertii un inusuale trambusto in strada, data anche la coincidenza con la domenica, quando via Monte Nevoso rimaneva pochissimo battuta per tutta la giornata. Quel mattino, invece, feci in tempo a vedere anomali movimenti di gente in borghese, finché comparvero anche uomini in divisa. Dissi a mio marito: qui sta succedendo qualcosa. E lui mi rispose di non uscire sul balcone e di abbassare le tapparelle. Avevamo due bambini piccoli... Pochissimi istanti dopo, si sentì rumore d'arma da fuoco e come di un'irruzione. Altri colpi, urla, gente che fuggiva: un paio li presero al “bar Franco”, all'angolo con via Porpora, su piazza Gobetti, dove avevano tentato, chissà poi perché, di rifugiarsi. Presto venne fuori che le forze dell'ordine avevano forzato un covo brigatista, ancora non si sapeva della faccenda del memoriale, delle carte di Moro. Dissi a mio marito: hai visto, te lo dicevo che quello lì di fronte doveva essere un covo. C'erano sempre le imposte chiuse, come sprangate, ma ad ogni ora della notte, per tutte le notti, filtrava luce di lampadina. Qualcosa avevo capito, ma non pensai ad avvertire nessuno allora: potevano sembrare fissazioni di una casalinga...”. Una cautela, quella della chiusura “ermetica” delle finestre, comune ad altre basi terroristiche: anche nel covo di via Montalcini emergerà che la Braghetti, Maccari e gli altri frequentatori avevano cura di tenere sempre le tapparelle ben chiuse, anche di giorno, con la luce artificiale che s'intravvedeva dagli spiragli delle imposte.
Pochissimi giorni dopo l'irruzione del commando di Dalla Chiesa nel covo brigatista di via Monte Nevoso, sul fronte neofascista esce il primo numero di “Quex”, periodico dei terroristi in carcere in cui si teorizza per la prima volta lo spontaneismo armato che darà linfa ai Nar. Lo anima un personaggio centrale dell'eversione nera, Fabrizio Zani, che lo edita nel suo appartamento, in via Teodosio, 60. A circa 400 metri da via Monte Nevoso, prendendo l'arteria di via Porpora.
Oltre agli scritti di Moro, è proprio lo stesso covo di via Monte Nevoso, 8, che li conteneva, a non potere trovare mai pace, né luce. A 12 anni esatti di distanza, il 9 ottobre del 1990, nel corso di lavori di ristrutturazione, spuntano fuori, insieme ad un mitra e a banconote ormai fuori corso, altri stralci del “memoriale Moro”. Sono, ancora una volta, fonti largamente parziali: le manomissioni dei documenti, i tagli, le censure operate dagli stessi terroristi (la più clamorosa: quella sulla rivelazione di Gladio, potenzialmente devastante), restano tuttora oggetto di indagini complesse. Scomparsi gli originali, occultati ancora oggi i filmati e le bobine coi nastri degli interrogatori, restano come urla mute di Moro il suo memoriale mutilato e le decine di lettere (solo in minima parte diffuse e recapitate ai diretti interessati), ad invocare luce su questi ed altri misteri dolorosi.
C'è inoltre una stranezza macroscopica, che non ha mai trovato una valida spiegazione. In pieno sequestro Moro, i brigatisti diffondono uno stupefacente comunicato n. 6 nel quale, dopo avere in precedenti comunicati ribadito che nulla sarebbe stato tenuto nascosto al popolo, si smentiscono: “Non ci sono segreti che riguardano la DC”. (...)
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