IL FUNERALE-REALITY DI UN GIOVANE NORMALE
E così anche Moresco, questo piccolo borgo antico appollaiato al cuore del Fermano, ha avuto il suo giorno di gloria. Gloria cupa, ci è voluto il sacrificio di un bravo ragazzo, oggi una rarità, di quelli miti, gentili con tutti, che non fanno parlare di sé, ma che adesso celebrano come un martire. C'è fame di eroi in questo periodo. Fosse morto di malattia o di incidente stradale nessuno si agiterebbe, ma qui c'era di mezzo un “giallo”, un mistero inesistente, amplificato dalle circostanze della sparizione e dalla sovraesposizione mediatica, anche dei familiari, anche del sindaco-giovanotto Amato Mercuri che a un certo punto s'era messo a fare il portavoce, l'interfaccia tra chi cercava il figlio e il piccolo borgo antico.
E adesso il borgo scoppia, auto a perdita d'occhio fin fuori dal paese, accessi controllati dalla protezione civile, gente che straborda dal sagrato dove lampeggia un maxischermo, facce intirizzite, distratte, divertite, divise di carabinieri, polizia, guardie municipali, gonfaloni, si è scomodato il vescovo di Fermo Luigi Conti, che celebra, c'è naturalmente il primo cittadino, che ha decretato il lutto cittadino così che tutti potessero partecipare, è attesa anche la fascia di Luigi Albore Mascia, il parigrado di Pescara, dove il giovane Roberto Straccia era sparito il 16 dicembre mentre correva per sport. Volatilizzato, mentre il padre Mario diceva ai giornali: pregate, e gli amici del paese organizzavano improbabili battute a Pescara, utili solo ad ostacolare il lavoro dei professionisti. All'Epifania il ritrovamento del cadavere, ormai saponificato, nel porticciolo di Palese, a nord di Bari. Le correnti avevano trasportato il giovane addormentato per sempre, come in una favola gotica di Tim Burton. La causa più probabile sembra subito la più banale, un malore o uno scivolone, un testimone dell'ultim'ora l'ha anche detto all'immancabile “Chi l'ha visto”, “Ho notato il ragazzo fare esercizi sporgendosi troppo dal ponte sul mare, 'sta' attento', gli ho detto, 'è pericoloso'”, e infatti dev'essere caduto, inghiottito nell'acqua gelida. Ma sarebbe troppo facile e subito si apre il valzer della fantasia, intriganti e mitomani propongono chi un agguato, chi un sequestro, un suicidio, un mistero pur che sia. Così il piccolo borgo antico può fremerne e la chiesa può riempirsi come mai neanche per la festa patronale.
E adesso incenso, commozione, mestizia escono via maxischermo dalla chiesa, si distendono nella desolata vallata fino al mare, si disciolgono nell'imbrunire precoce e gelido dell'inverno mentre un cielo senza colore sembra schiacciare la processione che lenta, scura, corrosa come nel “Funerale a Ornans” di Courbet, caracolla fino al cimitero dietro al carro funebre con dentro la bara, candida come quelle dei bambini. Certo, quando muore un ragazzo di 24 anni, “uno che ti aiutava con un sorriso”, ha detto qualcuno, è sempre una tragedia. Ma dovrebbe essere tragedia privata, del padre, della madre Rita, della sorella Lorena che al contrario, manipolati dai media, hanno contribuito a dilatarla con accenni anche patetici. E questo momento di distacco estremo, che un tempo gli uomini preferivano incidersi nell'anima il più possibile soli, invece si allarga a cerchi concentrici, al paese, al comprensorio, all'Italia, si allarga come la funzione, con la Comunione somministrata all'aperto da apposito ministro a un popolo come minimo svagato. Si respira il nonsenso mentre in chiesa si alternano al microfono quelli, tutti molto ben truccati e pettinati, che hanno qualcosa da dire, un aneddoto, una ragione per non rassegnarsi alla scomparsa, triste e banale, di un giovane universitario del quale tutti, oggi, si dicono amici, inconsolabili amici. C'è la squadra di calcio amatoriale al completo, i ragazzotti nella tuta coi colori sociali, ci sono le foto, i gagliardetti, i macabri simboli dell'amore in lutto, ci sono gli striscioni e le telecamere alzate sulla folla che plaude al maxischermo dopo ogni intervento di strampalata retorica, a sublimare questa rappresentazione della perennità italiana col suo sentimento di religiosità profana, dove il conformismo della curiosità la fa da padrone, dove nel microcosmo claustrofobico del borgo nessuno può mancare e gli occhiali neri in un giorno quasi buio non mascherano l'esibizionismo ingenuo ma non meno risoluto, dove i simboli della modernità, gli I-phone, le videocamere digitali che svolazzano e scattano istantanee da postare su facebook, cristalizzano una mestizia paesana da secolo scorso, per dire di tutti i secoli. Il sindaco, visibilmente commosso, ringrazia tutti, ma proprio tutti, come alla fine di un programma e infatti è un reality questo funerale di un ragazzo comune, dai media.
Per cosa? Per tutta questa gente indifferente e annoiata? C'è fame di eroi e anche di fama, non importa da dove sale, se da un atto eroico, da un crimine, da un dramma minore, dal niente. Tutto bisogna dare di noi a cominciare dal pudore, niente rimane per noi a cominciare dal pudore. Maledetto questo tempo che trasforma un bravo ragazzo anormalmente normale in “qualcosa” da celebrare, anche se nessuno sa perché.
E così anche Moresco, questo piccolo borgo antico appollaiato al cuore del Fermano, ha avuto il suo giorno di gloria. Gloria cupa, ci è voluto il sacrificio di un bravo ragazzo, oggi una rarità, di quelli miti, gentili con tutti, che non fanno parlare di sé, ma che adesso celebrano come un martire. C'è fame di eroi in questo periodo. Fosse morto di malattia o di incidente stradale nessuno si agiterebbe, ma qui c'era di mezzo un “giallo”, un mistero inesistente, amplificato dalle circostanze della sparizione e dalla sovraesposizione mediatica, anche dei familiari, anche del sindaco-giovanotto Amato Mercuri che a un certo punto s'era messo a fare il portavoce, l'interfaccia tra chi cercava il figlio e il piccolo borgo antico.
E adesso il borgo scoppia, auto a perdita d'occhio fin fuori dal paese, accessi controllati dalla protezione civile, gente che straborda dal sagrato dove lampeggia un maxischermo, facce intirizzite, distratte, divertite, divise di carabinieri, polizia, guardie municipali, gonfaloni, si è scomodato il vescovo di Fermo Luigi Conti, che celebra, c'è naturalmente il primo cittadino, che ha decretato il lutto cittadino così che tutti potessero partecipare, è attesa anche la fascia di Luigi Albore Mascia, il parigrado di Pescara, dove il giovane Roberto Straccia era sparito il 16 dicembre mentre correva per sport. Volatilizzato, mentre il padre Mario diceva ai giornali: pregate, e gli amici del paese organizzavano improbabili battute a Pescara, utili solo ad ostacolare il lavoro dei professionisti. All'Epifania il ritrovamento del cadavere, ormai saponificato, nel porticciolo di Palese, a nord di Bari. Le correnti avevano trasportato il giovane addormentato per sempre, come in una favola gotica di Tim Burton. La causa più probabile sembra subito la più banale, un malore o uno scivolone, un testimone dell'ultim'ora l'ha anche detto all'immancabile “Chi l'ha visto”, “Ho notato il ragazzo fare esercizi sporgendosi troppo dal ponte sul mare, 'sta' attento', gli ho detto, 'è pericoloso'”, e infatti dev'essere caduto, inghiottito nell'acqua gelida. Ma sarebbe troppo facile e subito si apre il valzer della fantasia, intriganti e mitomani propongono chi un agguato, chi un sequestro, un suicidio, un mistero pur che sia. Così il piccolo borgo antico può fremerne e la chiesa può riempirsi come mai neanche per la festa patronale.
E adesso incenso, commozione, mestizia escono via maxischermo dalla chiesa, si distendono nella desolata vallata fino al mare, si disciolgono nell'imbrunire precoce e gelido dell'inverno mentre un cielo senza colore sembra schiacciare la processione che lenta, scura, corrosa come nel “Funerale a Ornans” di Courbet, caracolla fino al cimitero dietro al carro funebre con dentro la bara, candida come quelle dei bambini. Certo, quando muore un ragazzo di 24 anni, “uno che ti aiutava con un sorriso”, ha detto qualcuno, è sempre una tragedia. Ma dovrebbe essere tragedia privata, del padre, della madre Rita, della sorella Lorena che al contrario, manipolati dai media, hanno contribuito a dilatarla con accenni anche patetici. E questo momento di distacco estremo, che un tempo gli uomini preferivano incidersi nell'anima il più possibile soli, invece si allarga a cerchi concentrici, al paese, al comprensorio, all'Italia, si allarga come la funzione, con la Comunione somministrata all'aperto da apposito ministro a un popolo come minimo svagato. Si respira il nonsenso mentre in chiesa si alternano al microfono quelli, tutti molto ben truccati e pettinati, che hanno qualcosa da dire, un aneddoto, una ragione per non rassegnarsi alla scomparsa, triste e banale, di un giovane universitario del quale tutti, oggi, si dicono amici, inconsolabili amici. C'è la squadra di calcio amatoriale al completo, i ragazzotti nella tuta coi colori sociali, ci sono le foto, i gagliardetti, i macabri simboli dell'amore in lutto, ci sono gli striscioni e le telecamere alzate sulla folla che plaude al maxischermo dopo ogni intervento di strampalata retorica, a sublimare questa rappresentazione della perennità italiana col suo sentimento di religiosità profana, dove il conformismo della curiosità la fa da padrone, dove nel microcosmo claustrofobico del borgo nessuno può mancare e gli occhiali neri in un giorno quasi buio non mascherano l'esibizionismo ingenuo ma non meno risoluto, dove i simboli della modernità, gli I-phone, le videocamere digitali che svolazzano e scattano istantanee da postare su facebook, cristalizzano una mestizia paesana da secolo scorso, per dire di tutti i secoli. Il sindaco, visibilmente commosso, ringrazia tutti, ma proprio tutti, come alla fine di un programma e infatti è un reality questo funerale di un ragazzo comune, dai media.
Per cosa? Per tutta questa gente indifferente e annoiata? C'è fame di eroi e anche di fama, non importa da dove sale, se da un atto eroico, da un crimine, da un dramma minore, dal niente. Tutto bisogna dare di noi a cominciare dal pudore, niente rimane per noi a cominciare dal pudore. Maledetto questo tempo che trasforma un bravo ragazzo anormalmente normale in “qualcosa” da celebrare, anche se nessuno sa perché.
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