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CONSOLATORI

CONSOLATORI
Più vivo e più trovo gente ipocrita, scioccamente ipocrita, che non ha alcun rispetto della mia vita. Sono quelli che fingono di non vedere il dolore, semplicemente lo amputano dalla loro coscienza, e pretenderebbero di costringerti alla stessa operazione. Quelli che, senza sapere niente di te, vengono ad insegnarti: se soffri è una tua scelta, te lo sei voluto. Frasi senza senso, ma di un cinismo per me inaccettabile. Ho passato la vita ad incontrare il dolore, l'ho visto dipinto su ogni faccia, l'ho sentito urlare, maledire se stesso, mi è morto fra le mani, mi si è affidato e mai, mai una volta l'ho accolto dicendo: tu non esisti, tu sei la tua causa. Tanti errori ho commesso, ma questa mancanza di rispetto per la sofferenza non credo di essermela mai concessa. E non l'accetto, né nei miei confronti né in quelli del mio peggior nemico. Ma è inutile scomodare Dostojevskji, certa gente non è in malafede: è semplicemente terrorizzata. Di solito è qualcuno che si è sentito sfiorare dalla tragedia, è riuscito a scamparla e da allora si costringe ad una felicità drogata, falsa. Come per un esorcismo, un fioretto, un voto verso un dio complice. Si considerano cristiani, ma in loro non c'è ombra di comprensione, in quella forma della compassione che, cristianamente, significa “soffire insieme” e non, come di solito si crede, compatire; non scaricare chi soffre ad una sua presunta distorsione di coscienza. Posso capire l'istinto di conservazione: non il cinismo di chi si difende. Purtroppo, chi sostiene che tutto è bene, che da ogni dolore si impara, oltre a rinunciare al diritto di compulsare tutte le forme artistiche che dalla sofferenza nascono, sconfessa clamorosamente se stesso: non ha imparato niente dalla propria sofferenza, tranne che a difendersene. A non vederla più. A negarla, ovvero a condannarla nel prossimo, con imperdonabile presunzione. Ma io non posso assecondare una simile impostura, e non sono fatto per vedere il rosa dove non c'è. Anche nel mio mestiere, ho sempre cercato di vedere quello che c'era, il che è sofferenza di per sè. Forse è per questo che, con tutti i miei difetti, la gente mi si affida, anche senza conoscermi. Sul dolore non giudico: cerco di accollarmelo, e questo, per me non credente, è l'unico signicato che posso dare alla mitologia della Croce. Ed è un significato di vertiginosa altezza. Forse qualcuno ricorderà la sequenza di Dr House in cui Foreman, salvatosi da un virus letale, appare trasfigurato, “Sono felice di essere vivo”. E House lo caccia, perché così non gli serve a niente, se si distacca dal dolore non può aiutare chi soffre, non può salvare nessuno. Per soccorrere, bisogna patire. È questo, quello che io ho capito. E poi, certo, strappare, quando possibile, alla sofferenza. Ma se non ci si entra insieme all'altro, non lo si porterà mai in salvo. Potete dirmi di tutto, e non mi offenderò; sarò pronto a dimenticare, a ricominciare in ogni caso. Ma su una cosa non farò sconti: sulla frase “Se soffri è perché hai scelto di soffire”. Appena la sento, o la leggo, io chiudo ogni rapporto. Senza spiegazioni. Per sempre. Non c'è nulla che chi l'ha pronunciata possa fare per farmi ricredere. Neppure scusarsi. Perché è ormai perso, è solo qualcuno che, non ascoltando più la sua stessa sofferenza, non potrà salvarsi. Potrà solo resistere nell'autoinganno finché la vita, in qualche modo, non farà giustizia. Questa che segue è una delle prime poesie mai scritte. Arrivò subito dopo la morte di mio padre, forse l'essere umano che ho visto più devastato in fin di vita, dopo una vita devastante: e senza meritarlo. La lessi per la prima volta a Rende, il 21 gennaio del 2008, e ad accompagnarmi c'era Paolo Benvegnù.

CONSOLATORI
Prima passateci voi. Prima di dirci che non abbiamo fede. Che non sappiamo più guardare al cielo. E che abbiamo colpa per il nostro volo amputato di gioia rinnegata. Passateci per il nostro sfacelo quotidiano, senza mai domani: talmente usato da sembrar banale. Non venite a regalarci squarci su ciò che indovinate; sconoscete. Prima passate per le nostre agonie, le nostre preghiere disperate, cadute per terra, le nostre imprecazioni urlate, piene di attesa vuota. Voi, che di fermezza vi riempite la bocca ma vacillate tremanti alla prima brezza. Voi frequentatori di chiese, che ci spingete a disertarle per non essere come voi: aridi. Stupidi. Frigidi, sempre così contratti, esaltati come bimbi ostinati, intransigenti e isterici. Nulla vi ferma, tutto vi concedete nel nome d'un Padre scippato, cui non somigliate. Voi che avete lacrime senza sale da donare, potete ingannare i vostri occhi negli specchi, ma non altri. Voi con la vostra fede frettolosa e chiassosa, che non tacete mai. Voi che avete l'Alibi supremo che vi lascia senz'alibi se così lo tradite. Voi, che nessuno v'ha impancato dove state, non permettetevi, mai più, di portarci il vostro sollievo offensivo. Voi col vostro ardore della miseria e del dolore, purché rotoli altrove. Voi consolatori, state lontani da questi sentieri, dove tutto si perde, finché un cuore muore.

Commenti

  1. Come al solito, la tua profondita' di pensiero emerge e ti sommerge,sei fatto cosi e mi piaci, La vita ci distrae da pensieri profondi, grazie di aver conservato il tuo blog, di darmi la possibilita' di passare di qua' e leggere che non sei cambiato.
    Ciao
    linda

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  2. Nei 4 anni di agonia di mia madre ho sopportato di tutto, dalle code assurde all'ASL per 10 pastiglie di morfina, alla proprietaria dell'appartamento che voleva sapere "come stà l'Evilia, sai mi hanno chiesto l'appartamento in tanti" e cose ancor peggio fatte da tanti "cristiani". quando mia madre se nè andata con la menteormai scovolta dalla morfina e dai suoi 25 kg. ho trovato nel cassetto del comodino un suo biglietto con su scritto "i grandi dolori tacciono stupefatti"(Seneca). ciao mauro

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    1. Aggiungerei che i grandi dolori lasciano grandi cicatrici. La tua è una testimonianza terribile e commovente. Spero la legga anche chi da dolori e cicatrici vuole star lontano, rifugiandosi in una stupida vita col fiore in bocca. I fiori appassiscono poi.

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